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Settembre
19 Settembre 2024

IL CON­CET­TO DI VEN­DET­TA. DA OME­RO A PLA­TO­NE

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Da spet­ta­to­re cine­ma­to­gra­fi­co, mi sono sem­pre stu­pi­to di come i corea­ni dia­no mag­gio­re spa­zio alla rap­pre­sen­ta­zio­ne del feno­me­no del­la ven­det­ta rispet­to a noi occi­den­ta­li. Guar­dan­do film come The Cha­ser (Na Hong-jin, 2008), I saw the devil (Kim Jee-woon, 2010) o anco­ra la tri­lo­gia del­la ven­det­ta di Park Chan-wook (Sym­pa­thy for Mr. Ven­gean­ce, 2002; Old­boy, 2003; Lady Ven­gean­ce, 2005), lo spet­ta­to­re occi­den­ta­le sen­te come una fasci­na­zio­ne eso­ti­ca per que­sto tema che ritor­na come un refrain: capi­sce la dina­mi­ca che muo­ve i per­so­nag­gi, s’immedesima in essi, ma allo stes­so tem­po sen­te che die­tro le azio­ni di que­sti si cela uno sfon­do meta­fi­si­co diver­so dal suo, dif­fi­ci­le da coglie­re. E seb­be­ne esi­sta­no anche in Occi­den­te dei film inte­res­san­ti sul­la ven­det­ta (vd. Blue Ruin, di Jere­my Saul­nier, 2013), ho sem­pre per­ce­pi­to que­sta tema­ti­ca come stra­nie­ra, come se noi potes­si­mo rap­pre­sen­tar­la sol­tan­to nel­le sue mani­fe­sta­zio­ni este­rio­ri, sen­za coglier­ne e dipin­ger­ne il nucleo essen­zia­le. 

Que­sto stu­po­re mi ha por­ta­to a inter­ro­gar­mi sul­la sto­ria di que­sto con­cet­to in Occi­den­te: la nostra con­ce­zio­ne del­la giu­sti­zia è sem­pre sta­ta dis­so­cia­ta dal­la ven­det­ta? E se no, quan­do e come si è ope­ra­ta que­sta dis­so­cia­zio­ne? 

Non è pur­trop­po pos­si­bi­le, in que­sta sede, trac­cia­re la sto­ria esau­sti­va del con­cet­to di ven­det­ta, stu­dian­do come esso si sia evo­lu­to nel cor­so di tre mil­len­ni; ho per­tan­to deci­so di restrin­ge­re la mia ricer­ca ad un perio­do limi­ta­to — ma essen­zia­le — del­la sto­ria dei valo­ri occi­den­ta­li: ovve­ro quel­lo che noi con­si­de­ria­mo la cul­la dell’Occidente, la Gre­cia anti­ca, in par­ti­co­lar modo arcai­ca e clas­si­ca. Ma quel­la che noi con­si­de­ria­mo come la radi­ce pri­ma del nostro Spi­ri­to, ben lun­gi dall’offrire una rispo­sta uni­ca e uni­vo­ca, ci si offre come un ago­ne, un cam­po di bat­ta­glia, in cui posi­zio­ni diver­gen­ti si affron­ta­no: e come le sta­tue o i tem­pli elle­ni­ci non era­no mono­cro­ma­ti­che, ma arric­chi­te dei colo­ri più vari, così la visio­ne del mon­do che quel popo­lo ha mani­fe­sta­to è anch’essa varie­ga­tis­si­ma e irri­du­ci­bi­le ad un’unica for­mu­la, ad un uni­co cano­ne. Anzi, spes­so appa­re con­fu­sa nel­la sua mol­te­pli­ci­tà: è per­tan­to impor­tan­te, per com­pren­de­re noi stes­si, non solo vol­ger­ci ver­so gli anti­chi ma anche far­vi ordi­ne. 

Que­sto bre­ve arti­co­lo ten­ta di fare pro­prio que­sto: com­pren­de­re come il con­cet­to di ven­det­ta si sia evo­lu­to in un perio­do, VIII sec. a. C. — IV sec. a. C., e in una regio­ne, la Gre­cia, deter­mi­na­ti. Que­sta com­pren­sio­ne pas­sa cer­to attra­ver­so l’interrogazione del­le nostre ori­gi­ni, ma que­sto inter­ro­ga­re è già anche un chia­ri­fi­ca­re: non dob­bia­mo dun­que sol­tan­to chie­der­ci cosa pen­sas­se­ro i Gre­ci sul­la ven­det­ta – per­ché “i Gre­ci” è una cate­go­ria che non esi­ste, per­ché la cul­tu­ra Gre­ca si svi­lup­pa dall’VIII° sec. a. C. fino all’epoca bizan­ti­na, e va dal­le coste occi­den­ta­li dell’Asia mino­re fino ai con­fi­ni occi­den­ta­li del mar Medi­ter­ra­neo. Dob­bia­mo innan­zi­tut­to chie­der­ci cosa pen­sas­se­ro cer­ti gre­ci illu­stri, e cosa altri — altret­tan­to illu­stri. La ven­det­ta ha mai avu­to un ruo­lo cen­tra­le nel­la carat­te­riz­za­zio­ne dell’etica e del­la giu­sti­zia? Se sì, con chi e in che modo? E que­sto ruo­lo è sem­pre sta­to il mede­si­mo, oppu­re è muta­to nel tem­po? E, infi­ne, quand’è che è defi­ni­ti­va­men­te tra­mon­ta­to? Quand’è che è sta­to mes­so al ban­do? 

Ovvia­men­te, a cau­sa dei limi­ti for­ma­li impo­sti dal pre­sen­te arti­co­lo, non ci è sta­to pos­si­bi­le ana­liz­za­re tut­te le fon­ti. Ci sia­mo per­tan­to limi­ta­ti ad ana­liz­zar­ne alcu­ne — poche ma essen­zia­li — tali da per­met­ter­ci di trac­cia­re un per­cor­so evo­lu­ti­vo di que­sta nozio­ne. 

L’Ilia­de: poe­ma del­la ven­det­ta?

La cau­sa stes­sa dell’assedio decen­na­le alla roc­ca di Ilio è iden­ti­fi­ca­bi­le nel­la ven­det­ta: gli achei voglio­no infat­ti ven­di­ca­re il rapi­men­to del­la spo­sa di Mene­lao da par­te di Pari­de. L’ira e la ven­det­ta get­ta­no dun­que la loro ombra sul poe­ma già dall’antefatto. 

Se poi il proe­mio dell’Ilia­de si apre con la cele­bre ira di Achil­le, è da nota­re che que­sta è pre­pa­ra­ta e pro­dot­ta da un’ira e una ven­det­ta pre­ce­den­ti, quel­le del sacer­do­te Cri­se e del dio da lui ser­vi­to, Apol­lo. Il rifiu­to da par­te di Aga­men­no­ne dei doni offer­ti dal padre di Cri­sei­de per riscat­ta­re quest’ultima sono infat­ti all’origine dell’ira ven­di­ca­tri­ce di Apol­lo, che sca­glia sull’esercito acheo una pesti­len­za che lo deci­ma. Per stor­na­re la pesti­len­za, al re degli Achei non resta che una solu­zio­ne: ren­de­re Cri­sei­de al padre. Aga­men­no­ne accet­ta, ma in cam­bio esi­ge – in gui­sa di ripa­ra­zio­ne – la schia­va di Achil­le, Bri­sei­de. Anco­ra una vol­ta, si pro­ce­de attra­ver­so una ven­det­ta: Aga­men­no­ne si ven­di­ca del tor­to subi­to – sep­pu­re ine­vi­ta­bi­le e non volu­to da nes­su­no – arre­can­do­ne uno ana­lo­go al miglio­re degli Achei. Tale dan­no non è sol­tan­to mate­ria­le: la socie­tà gre­ca arcai­ca è sta­ta defi­ni­ta una socie­tà del­la ver­go­gna (Dodds, 1951), ovve­ro una socie­tà in cui “il pub­bli­co rico­no­sci­men­to sta­bi­li­sce il valo­re rea­le di un guer­rie­ro in un mon­do in cui le inten­zio­ni con­ta­no meno dei risul­ta­ti, i fat­ti meno del­le appa­ren­ze” (Cia­ni, 2016, 14); Bri­sei­de non è tan­to una pri­gio­nie­ra di guer­ra, quan­to piut­to­sto “un sim­bo­lo, è la pro­va pub­bli­ca del valo­re di Achil­le” (Cia­ni, 2016, 14). Toglier­glie­la signi­fi­ca disco­no­sce­re il valo­re dell’eroe, diso­no­rar­lo. È da nota­re come nien­te rie­sca a ripa­ra­re l’offesa arre­ca­ta ad Achil­le se non un’offesa mag­gio­re, che pro­du­ce in lui la volon­tà di una ven­det­ta mag­gio­re, la mor­te di Patro­clo: “dal dolo­re per la mor­te di Patro­clo nasce un’ira nuo­va, non meno vio­len­ta ma diver­sa, non più divi­na e sacra­le ma pecu­lia­re alla sfe­ra uma­na […] è sem­pre l’ira il moti­vo con­dut­to­re del­le due sto­rie” (Cia­ni, 2016, 17–18). A tale pro­po­si­to, è inte­res­san­te nota­re che Ari­sto­te­le defi­ni­sce dia­let­ti­ca­men­te la col­le­ra come desi­de­rio di ven­det­ta (cfr. Ari­sto­te­le, De ani­ma, I, 1, 403a). 

Esio­do: la ven­det­ta divi­na

Con Esio­do, e in par­ti­co­la­re nel suo poe­ma Ope­re e gior­ni, vi è la volon­tà di sor­pas­sa­re la mora­le ari­sto­cra­ti­ca ed eroi­ca che per­mea l’Ilia­de e ride­fi­ni­re un nuo­vo, uni­ver­sa­le con­cet­to di giu­sti­zia. La cen­tra­li­tà di que­sto con­cet­to è sot­to­li­nea­ta dal­lo spun­to che dà avvio al poe­ma, ovve­ro un pro­ces­so giu­di­zia­rio. Il giu­sto ces­sa con Esio­do­di esse­re uma­no, e dun­que sot­to­mes­so alla logi­ca del­la for­za, ma vie­ne uni­ver­sa­liz­za­to e natu­ra­liz­za­to nel con­cet­to di Dikê, i cui garan­ti diven­ta­no gli dèi; come ha spie­ga­to egre­gia­men­te Mau­ro Bonaz­zi, in “Esio­do si tro­va […] l’idea di una giu­sti­zia divi­na, e dun­que asso­lu­ta, non vin­co­la­ta ma vin­co­lan­te le deci­sio­ni uma­ne […] Giu­sti­zia divi­na e giu­sti­zia uma­na sono ormai sal­da­men­te lega­te insie­me, e la secon­da non può più fare a meno del­la pri­ma, non ne è che un’applicazione par­ti­co­la­re” (Bonaz­zi 2017, 31). 

Una tale deter­mi­na­zio­ne del­la giu­sti­zia pare con­trad­di­re dun­que la visio­ne ome­ri­ca in cui la giu­sti­zia uma­na si decli­na sot­to il segno del­la ven­det­ta: se infat­ti la giu­sti­zia uma­na deve ade­guar­si e ren­de­re con­to a quel­la divi­na, non vi è più spa­zio per l’arbitrio del più for­te, ovve­ro del più capa­ce di ven­di­car­si. Ma è così? Un auto­re come Esio­do rie­sce vera­men­te a dis­so­cia­re giu­sti­zia e ven­det­ta oppu­re con­ti­nua in un cer­to modo a con­ce­pi­re la giu­sti­zia nei ter­mi­ni del­la ven­det­ta? Per rispon­de­re, è neces­sa­rio vede­re come egli con­ce­pi­sca la puni­zio­ne

Per capi­re la visio­ne di Esio­do rela­ti­va­men­te alla puni­zio­ne, è neces­sa­rio leg­ge­re il desti­no del­la cit­tà ingiu­sta descrit­to nell’Ope­re e i gior­ni (vv. 238–47): 

A chi stan­no a cuo­re mal­va­gia pre­po­ten­za e ope­re pra­ve,

a costo­ro il Cro­ni­de Zeus dal­la voce che ampia risuo­na il fio fa paga­re.

Spes­so anche una cit­tà tut­ta inte­ra ha paga­to per un sol uomo

Che com­met­tes­se col­pa e mac­chi­nas­se azio­ni scon­si­de­ra­te

A costo­ro dal cie­lo gran­de scia­gu­ra ha man­da­to il Cro­ni­de:

[…] il Cro­ni­de piglia ven­det­ta di loro.

Non è ovvia­men­te pos­si­bi­le dare un’interpretazione uni­vo­ca di que­sti ver­si, infat­ti “non è chia­ro se Zeus inter­ven­ga diret­ta­men­te o indi­ret­ta­men­te a san­zio­na­re i com­por­ta­men­ti uma­ni” (Bonaz­zi 2017, 39). Nel pri­mo caso, però, non sarem­mo lon­ta­ni dal­la pro­spet­ti­va del­la for­za ven­di­ca­tri­ce tipi­ca dell’Ilia­de, dove però il ven­di­ca­to­re non è più l’ari­stos, ben­sì il dio: il Cro­ni­de piglia ven­det­ta di loro

Se Esio­do ren­de gli dèi garan­ti del­la giu­sta puni­zio­ne del col­pe­vo­le, non per que­sto egli eli­mi­na il con­cet­to di ven­det­ta: al con­tra­rio, Esio­do lo pre­ser­va ad un livel­lo supe­rio­re, quel­lo divi­no. Non si trat­ta più di rista­bi­li­re il giu­sto ordi­ne del­le cose attra­ver­so una ven­det­ta pri­va­ta, uma­na, per­ché a rista­bi­li­re la giu­sti­zia ci pen­se­ran­no gli dèi attra­ver­so una ven­det­ta divi­na, una néme­sis. Il ter­mi­ne gre­co néme­sis ha la radi­ce nem-/nom- il cui sen­so è distri­bui­re (nemô: distri­bui­re, divi­de­re, ammi­ni­stra­re…) e che ha dato non solo il sostan­ti­vo néme­sis ma anche nòmos, che vale leg­ge, uso, con­ven­zio­ne, e si rifà dun­que al con­cet­to di giu­sti­zia: la néme­sis dun­que, pri­ma d’essere una ven­det­ta divi­na, è innan­zi­tut­to una ripar­ti­zio­ne, e più in par­ti­co­la­re la ripar­ti­zio­ne del giu­sto sde­gno che il reo si meri­ta (cfr. Ugo­li­ni 2018)

L’agente uma­no è cer­to sosti­tui­to con quel­lo divi­no, ma la strut­tu­ra sostan­zia­le di una giu­sti­zia inte­sa come ven­det­ta resta la stes­sa. E una tale con­ce­zio­ne del­la giu­sti­zia inte­sa come giu­sti­zia divi­na reste­rà una costan­te di tut­to il paga­ne­si­mo, com’è pos­si­bi­le appu­ra­re da un dia­lo­go di Plu­tar­co inti­to­la­to De sera numi­nis vin­dic­ta, ovve­ro Sul­la ven­det­ta tar­di­va del dio, in cui si cer­ca di giu­sti­fi­ca­re i ritar­di che pos­so­no inter­cor­re­re tra la puni­zio­ne divi­na e la col­pa. 

La paro­la di Anas­si­man­dro: la ven­det­ta meta­fi­si­ca

Il più anti­co testo filo­so­fi­co occi­den­ta­le per­ve­nu­to­ci è di Anas­si­man­dro (B1) e reci­ta: 

Dice che prin­ci­pio non è né l’acqua né nes­sun altro dei cosid­det­ti ele­men­ti, ma una cer­ta altra natu­ra infi­ni­ta, da cui diven­go­no tut­ti gli uni­ver­si e le regio­ni cosmi­che che sono in essi: dal­le cose che sono, li è anche la distru­zio­ne secon­do il dovu­to: essi scon­ta­no infat­ti reci­pro­ca­men­te la pena [allê­lois dido­nai dikên] e il fio dell’ingiustizia secon­do l’ordine del tem­po.

Le cose che sono, per esse­re tali, devo­no neces­sa­ria­men­te pre­va­ri­ca­re su altre, che non sono. Così, il ver­de pre­va­ri­ca sul non-ver­de per esse­re il colo­re del­la sedia, il bagna­to sul sec­co per esse­re la qua­li­tà del­l’ac­qua… La strut­tu­ra meta­fi­si­ca dell’universo è tale per cui gli enti fini­ti sono in con­ti­nua oppo­si­zio­ne gli uni con gli altri e, per veni­re ad esse­re, essi devo­no pre­va­ri­ca­re gli uni sugli altri. Que­sta prov­vi­so­ria ingiu­sti­zia, tut­ta­via, sarà paga­ta a tem­po debi­to attra­ver­so il dive­ni­re, che fa scom­pa­ri­re l’ente che si era pre­ce­den­te­men­te impo­sto, lascian­do spa­zio al suo oppo­sto: così la sedia si sco­lo­ra con il tem­po, e il ver­de vie­ne sop­pres­so, pagan­do il fio del­la pre­ce­den­te pre­va­ri­ca­zio­ne al non-ver­de che a que­sto pun­to si impo­ne. 

Il pro­po­si­to di Anas­si­man­dro non è né poli­ti­co né eti­co: 

“Ben­sì la descri­zio­ne dei pro­ces­si che rego­la­no la vita dell’universo: l’incessante alter­nan­za del gior­no e del­la not­te, del­le sta­gio­ni cal­de e fred­de, dei cicli astro­no­mi­ci; un equi­li­brio dina­mi­co, imma­nen­te, garan­ti­to dai rap­por­ti tra gli ele­men­ti costi­tuen­ti. La nozio­ne di giu­sti­zia ser­ve a descri­ve­re que­sto pro­ces­so ordi­na­to […] un uni­ver­so che pro­prio per­ché spa­zial­men­te e tem­po­ral­men­te ordi­na­to può esse­re det­to kosmos” (Bonaz­zi 2017, 51–2).

Tut­ta­via, anche trat­tan­do­si di un discor­so cosmo­lo­gi­co e meta­fi­si­co è inte­res­san­te nota­re come il tema del­la giu­sti­zia resti anco­ra­to ad un fio da paga­re. L’ingiustizia deri­van­te da una cer­ta col­pa dev’essere paga­ta affin­ché l’ordine cosmi­co ven­ga rista­bi­li­to: anzi, quest’ordine si intes­se pro­prio del­le col­pe e del­le suc­ces­si­ve puni­zio­ni, e in que­sta cate­na inin­ter­rot­ta tro­va il suo equi­li­brio. 

Se in Esio­do, dun­que, la giu­sti­zia resta­va anco­ra­ta al con­cet­to di ven­det­ta, che si con­fi­gu­ra­va come ven­det­ta divi­na, in Anas­si­man­dro abbia­mo quel­la che pos­sia­mo defi­ni­re una ven­det­ta cosmi­ca. 

Rea­zio­ne a cate­na: l’Ore­stea di Eschi­lo 

Se si par­la di ven­det­ta, non è pos­si­bi­le non cita­re la vicen­da di Ore­ste, eroe ven­di­ca­to­re per eccel­len­za. Nell’Odis­sea di Ome­ro, Ore­ste è pre­sen­ta­to come model­lo di vir­tù pro­prio in quan­to ven­di­ca­to­re del padre: Ate­na, infat­ti, lo pro­po­ne come model­lo da segui­re a Tele­ma­co, dicen­do­gli:

Non sen­ti che glo­ria s’è fat­ta Ore­ste divi­no

Fra gli uomi­ni tut­ti, ucci­den­do l’assassino del padre,

Egi­sto ingan­na­to­re, che il nobi­le padre gli ucci­se?

Que­sta rap­pre­sen­ta­zio­ne di Ore­ste è resa pos­si­bi­le da quel­la mora­le ome­ri­ca che abbia­mo sopra deli­nea­to, la qua­le fon­da la giu­sti­zia sul con­cet­to di ven­det­ta.

Que­sta visio­ne vie­ne pro­ble­ma­tiz­za­ta nel­la tra­spo­si­zio­ne dram­ma­ti­ca di Eschi­lo, la cui tri­lo­gia dell’Ore­stea - Aga­men­no­ne, Coe­fo­re e Eume­ni­di — met­te in sce­na la vicen­da degli Atri­di, che altro non è se non una vicen­da di ven­det­ta: Cli­tem­ne­stra ucci­de Aga­men­no­ne per ven­di­ca­re la figlia Ifi­ge­nia, coa­diu­va­ta dal cugi­no di Aga­men­no­ne, Egi­sto. Ma non solo Cli­tem­ne­stra a voler­si ven­di­ca­re di Aga­men­no­ne, ma anche Egi­sto: quest’ultimo infat­ti deve ripa­ra­re una col­pa più anti­ca, non diret­ta­men­te impu­ta­bi­le ad Aga­men­no­ne, ben­sì al padre Atreo, il qua­le ave­va mas­sa­cra­to i figli di Tie­ste, padre di Egi­sto. Que­sti ha agi­to secon­do una: 

“Con­vin­zio­ne radi­ca­ta nel­la men­ta­li­tà gre­ca: il delit­to tra­va­li­ca la respon­sa­bi­li­tà dell’individuo, pro­iet­tan­do la sua con­ta­mi­na­zio­ne sull’intera stir­pe. Il desti­no col­pi­sce il discen­den­te [qui Aga­men­no­ne] del col­pe­vo­le [Atreo] inca­te­nan­do pure lui al male” (Del Cor­no 1995, 196). 

Per­ciò, Ore­ste ucci­de Cli­tem­ne­stra ed Egi­sto per ven­di­ca­re il padre e deve poi difen­der­si dal­le Erin­ni ven­di­ca­tri­ci per aver ver­sa­to il san­gue mater­no.

Anco­ra una vol­ta i con­cet­ti di giu­sti­zia e di ven­det­ta sono inter­con­nes­si, come pos­sia­mo leg­ge­re nel­le paro­le di Cli­tem­ne­stra che, dopo aver ucci­so il mari­to e ven­di­ca­to la figlia, dice:

Sì, que­sto è Aga­men­no­ne, mio spo­so; per que­sta mia mano è qui cada­ve­re; e fu giu­sti­zia. Così è (Aga­men­no­ne, 1404–6).

Nel­la secon­da tra­ge­dia del­la tri­lo­gia, le Coe­fo­re, vie­ne atti­va­ta quel­la rea­zio­ne a cate­na tipi­ca del­la giu­sti­zia come ven­det­ta ovve­ro una rea­zio­ne a cate­na che costi­tui­sce il pun­to cri­ti­co di una tale con­ce­zio­ne del­la giu­sti­zia, com’è egre­gia­men­te mes­so in evi­den­za nel film Sym­pa­thy for Mr. Ven­gean­ge, 2002 di Park Chan-wook, come si evin­ce dal dia­lo­go tra Cli­te­me­stra ed il figlio Ore­ste:

C.: Figlio, vuoi pro­prio ucci­de­re tua madre?

O.: Io? Sarai tu che ucci­di te stes­sa.

Ore­ste affer­ma che è la madre che ucci­de se stes­sa per­ché, ucci­den­do il padre, ha azio­na­to la dina­mi­ca auto­no­ma pro­pria di una giu­sti­zia ven­di­ca­ti­va, per la qua­le il tor­to subi­to può esse­re ripa­ra­to sol­tan­to con un nuo­vo tor­to che, essen­do tale, richie­de esso stes­so una nuo­va ripa­ra­zio­ne.

Tale rap­pre­sen­ta­zio­ne di dike da par­te di Eschi­lo sem­bra allo­ra resta­re anco­ra­to ad una visio­ne del­la giu­sti­zia come ven­det­ta: “all’inizio c’è una con­ce­zio­ne del­la giu­sti­zia che, sot­to la minac­cio­sa pro­te­zio­ne del­le Erin­ni, rele­ga il dirit­to nel­la dimen­sio­ne pri­va­ta del­la ven­det­ta (cfr. Ag. 1560–64; Co. 119–23). È ad essa che si appel­la­no espres­sa­men­te pri­ma Cli­tem­ne­stra (Ag. 1406, 1432: “per Dike ven­di­ca­tri­ce del­la figlia mia”) e poi Ore­ste (Co. 909–14), in una sequen­za ine­so­ra­bi­le di ucci­sio­ni da cui sem­bra impos­si­bi­le usci­re: “sono i mor­ti che ucci­do­no i vivi”, come un ser­vo dice a Cli­tem­ne­stra men­tre Ore­ste avan­za bran­den­do una scu­re (Co. 886)” (Bonaz­zi 2017, 109).

La novi­tà di Eschi­lo risie­de tut­ta­via nel­la pro­ble­ma­tiz­za­zio­ne di que­sta con­ce­zio­ne del­la giu­sti­zia, che fini­sce per divo­ra­re se stes­sa: “Ares com­bat­te con Ares, Giu­sti­zia con Giu­sti­zia” (Coe­fo­re, 461). Par­ten­do dal­la visio­ne tra­di­zio­na­le del­la giu­sti­zia come ven­det­ta, Eschi­lo, nel cor­so del­la tri­lo­gia, inau­gu­ra il cam­mi­no che farà usci­re la Gre­cia da una tale con­ce­zio­ne: 

“Pro­muo­ven­do un’altra idea di giu­sti­zia. Dike deve diven­ta­re un fat­to poli­ti­co: è ciò che pro­du­ce ordi­ne, sono le deci­sio­ni che ven­go­no pre­se nei tri­bu­na­li sot­to la vigi­le pro­te­zio­ne divi­na, con l’obiettivo di inter­rom­pe­re il ciclo sen­za fine del­le vio­len­ze reci­pro­che (Eu. 973). Il vin­co­lo poli­ti­co, pro­tet­to dal­la tute­la dei nuo­vi dèi olim­pi­ci, si sosti­tui­sce così al lega­me di san­gue; e ognu­no, ogni indi­vi­duo, diven­ta mem­bro respon­sa­bi­le del­la comu­ni­tà, in cui le deci­sio­ni col­let­ti­ve pren­do­no il posto del­le fai­de tra fami­glie (Eu. 690–705) […] La dife­sa di una giu­sti­zia poli­ti­ca segna un distac­co dal mon­do dell’Ilia­de, in cui il pre­do­mi­nio dei sin­go­li e del­le casa­te ren­de­va dif­fi­ci­le se non impos­si­bi­le la riso­lu­zio­ne dei con­flit­ti” (Bonaz­zi 2017, 109–10).

Così una giu­sti­zia di tipo pri­va­to vie­ne cri­ti­ca­ta e sosti­tui­ta ad una di tipo poli­ti­co, anche sim­bo­li­ca­men­te, dato che la vicen­da tra­gi­ca vie­ne sciol­ta nell’Areopago, tri­bu­na­le ari­sto­cra­ti­co adi­bi­to alla vigi­lan­za del­le leg­gi e alla giu­ri­sdi­zio­ne sui delit­ti di san­gue. È inte­res­san­te nota­re che que­sta anti­no­mia tra giu­sti­zia poli­ti­ca e giu­sti­zia ven­di­ca­ti­va indi­vi­dua­le è spes­so espres­sa anche nei film sud­co­rea­ni sopra­ci­ta­ti, dove spes­so i rap­pre­sen­tan­ti del­la leg­ge, dun­que di que­sta giu­sti­zia poli­ti­ca che abbia­mo det­to, ven­go­no mostra­ti come del tut­to inet­ti: è dove la leg­ge è inef­fi­cien­te che la ven­det­ta tro­va un ter­re­no fer­ti­le dove cre­sce­re.   

Se con Eschi­lo vie­ne egre­gia­men­te rap­pre­sen­ta­to il limi­te intrin­se­co alla men­ta­li­tà ven­di­ca­ti­va arcai­ca, e gli può esse­re con­ces­so il meri­to di aver­ne deco­strui­to le fon­da­men­ta, met­ten­do in evi­den­za come una tale con­ce­zio­ne del­la giu­sti­zia distrug­ga la giu­sti­zia stes­sa, sca­te­nan­do una rea­zio­ne a cate­na sen­za fine, la sua pro­po­sta di una giu­sti­zia alter­na­ti­va, fon­da­ta sul­le leg­gi del­la comu­ni­tà resta vaga e filo­so­fi­ca­men­te infon­da­ta. Qual è la vera alter­na­ti­va a que­sta con­ce­zio­ne arcai­ca del­la giu­sti­zia come ven­det­ta?  

Il con­cet­to di ven­det­ta dun­que, a dif­fe­ren­za di quel­lo che potrem­mo pen­sa­re in un pri­mo momen­to, non è affat­to alie­no alla men­ta­li­tà occi­den­ta­le, la cui con­ce­zio­ne ori­gi­na­ria di giu­sti­zia si fon­da­va esat­ta­men­te su di esso. Biso­gna sot­to­li­nea­re tut­ta­via che da un pun­to di vista legi­sla­ti­vo, la ven­det­ta pri­va­ta diven­ta ille­ga­le già negli ulti­mi decen­ni del VII seco­lo, con le leg­gi dra­co­nia­ne, che puni­sco­no seve­ra­men­te chiun­que si fac­cia giu­sti­zia da sé, eccet­to per un caso… l’adulterio! Tut­ta­via quel­lo che ci inte­res­sa mostra­re è che, al di là del con­cet­to stret­to di ven­det­ta inte­so come far­si giu­sti­zia da sé, per­si­ste un con­cet­to più lar­go di ven­det­ta secon­do cui la puni­zio­ne del reo è inte­sa come ripa­ra­tri­ce di una col­pa che può anche esse­re un mia­sma, una con­ta­mi­na­zio­ne, per i fami­lia­ri ma anche per la cit­tà.

È nostro com­pi­to, per­tan­to, coglie­re quel momen­to nel­la sto­ria del pen­sie­ro in cui l’Occidente ha vira­to ver­so una con­ce­zio­ne diver­sa di giu­sti­zia sva­lu­tan­do eo ipso la nozio­ne di ven­det­ta stes­sa. Quan­do e come tra­mon­ta, allo­ra, il valo­re del­la ven­det­ta? 

Socra­te-Pla­to­ne: la giu­sti­zia come tera­pia dell’anima

La dele­git­ti­ma­zio­ne del con­cet­to di ven­det­ta pas­sa attra­ver­so la cele­bre tesi socra­ti­co-pla­to­ni­ca secon­do cui è pre­fe­ri­bi­le subi­re un’ingiustizia piut­to­sto che com­met­ter­la: 

Socra­te: […] il più gran­de dei mali è il com­met­te­re ingiu­sti­zia.

Polo: E que­sto sareb­be il più gran­de? Non è mag­gio­re il subi­re ingiu­sti­zia? 

Socra­te: No, nel modo più asso­lu­to.

Polo: Tu vor­re­sti quin­di subi­re ingiu­sti­zia piut­to­sto che com­met­ter­la?

Socra­te: In real­tà io non vor­rei nes­su­na del­le due; se però fos­se neces­sa­rio com­met­te­re ingiu­sti­zia o subir­la sce­glie­rei di gran lun­ga subi­re ingiu­sti­zia piut­to­sto che com­met­ter­la. 

[Pla­to­ne, Gor­gia, 469­b8-c3, a cura di A. Taglia, note e trad. di F. M. Petruc­ci, Tori­no: Einau­di, 2014].

Que­sta tesi impli­ca l’impossibilità di ven­di­car­si, poi­ché la ven­det­ta pre­sup­po­ne la legit­ti­mi­tà di com­met­te­re un’ingiustizia ver­so qual­cu­no che ci ha pre­ce­den­te­men­te offe­si attra­ver­so un’altra ingiu­sti­zia. E infat­ti la mede­si­ma tesi socra­ti­ca la ritro­via­mo nel Cri­to­ne, dove però essa vie­ne mes­sa più espli­ci­ta­men­te in rela­zio­ne con l’atto ven­di­ca­ti­vo:  

Dun­que nep­pu­re colui che subi­sce ingiu­sti­zia deve rispon­de­re con un’ingiustizia, come cre­do­no i più, dal momen­to che non si deve com­met­te­re ingiu­sti­zia in nes­sun caso […] so infat­ti che poche per­so­ne sono e saran­no di quest’avviso […] che non è mai una cosa ret­ta né com­met­te­re ingiu­sti­zia [toû adi­keîn] né ricam­biar­la [toû anta­di­keîn], né ven­di­car­si [amy­ne­sthai] se si subi­sce del male [kakôs pascho­ta] facen­do a nostra vol­ta del male [anti­drôn­ta kakôs] [Pla­to­ne, Cri­to­ne, 49b‑e, in Pla­to­ne, Euti­fro­ne, Apo­lo­gia di Socra­te, Cri­to­ne, a cura di Cen­tro­ne e Taglia]

Come com­men­ta mol­to giu­sta­men­te Cen­tro­ne, “la pre­sa di distan­za socra­ti­ca da que­sta posi­zio­ne è quin­di par­ti­co­lar­men­te rile­van­te, per­ché sot­trae alla sfe­ra del­la giu­sti­zia tut­ti i com­por­ta­men­ti vol­ti a cau­sa­re un dan­no, com­pre­si quel­li ritor­si­vi, apren­do un net­to diva­rio rispet­to al sen­ti­re comu­ne” (Cen­tro­ne e Taglia 2010, 230). Que­sto sen­ti­re comu­ne non era altro che quel­lo del­la mora­le eroi­ca che la Gre­cia clas­si­ca ave­va ere­di­ta­to da Ome­ro, mora­le: “Secon­do la qua­le subi­re il male sen­za poter difen­de­re se stes­so e i pro­pri ami­ci era la cosa peg­gio­re per un uomo […] Per Socra­te inve­ce è peg­gio com­met­te­re il male che subir­lo, e peg­gio anco­ra è non paga­re la pena per il male com­mes­so, che sola libe­ra l’uomo dal­la ingiu­sti­zia” (Pla­to­ne, Gor­gia, cura di A. Taglia, note e trad. di Petruc­ci 2014, 79). 

Nega­re il con­cet­to di ven­det­ta, dun­que, non vuol dire lascia­re il reo impu­ni­to. Anzi, non solo per la cit­tà, ma per il reo stes­so, non vi è bene­fi­cio miglio­re che l’essere puni­to. Pla­to­ne pro­du­ce infat­ti una gerar­chia del­le azio­ni rela­ti­va­men­te alla giu­sti­zia, gerar­chia che com­pren­de, dal­la miglio­re alla peg­gio­re: 

  1. Non com­met­te­re e non subi­re ingiu­sti­zia.
  2. Non com­met­te­re ma subi­re ingiu­sti­zia.
  3. Com­met­te­re ingiu­sti­zia e espia­re la pro­pria col­pa con un casti­go.
  4. Com­met­te­re ingiu­sti­zia e fug­gi­re il casti­go. 

Pos­sia­mo infat­ti leg­ge­re: 

Inve­ce, Polo, secon­do la mia opi­nio­ne chi com­met­te ingiu­sti­zia e l’ingiusto sono in ogni caso sven­tu­ra­ti, e anco­ra più sven­tu­ra­ti qua­lo­ra non scon­ti­no la giu­sta pena né incap­pi­no nel­la puni­zio­ne aven­do com­mes­so ingiu­sti­zia, men­tre saran­no meno sven­tu­ra­ti qua­lo­ra scon­ti­no la giu­sta pena e incap­pi­no nel­la giu­sti­zia per mano e degli dèi e degli uomi­ni.

[Pla­to­ne, Gor­gia, 472e4‑8, a cura di A. Taglia, note e trad. di Petruc­ci 2014]

E anco­ra:

…in ogni caso chi com­met­te ingiu­sti­zia è più sven­tu­ra­to di chi subi­sce ingiu­sti­zia e chi non scon­ta la giu­sta pena di chi la scon­ta. 

[Pla­to­ne, Gor­gia, 479e, a cura di A. Taglia, note e trad. di Petruc­ci 2014]

Data tale gerar­chia, e data la dele­git­ti­ma­zio­ne del con­cet­to di ven­det­ta, è neces­sa­rio per Pla­to­ne rifon­da­re il con­cet­to e la legit­ti­mi­tà del casti­go su nuo­ve basi. Per fare ciò, egli sfrut­ta un’analogia che pas­sa attra­ver­so la distin­zio­ne dell’anima e del cor­po: vi è un’attività che si pre­oc­cu­pa del bene dell’anima così come ve n’è una che si pre­oc­cu­pa del bene del cor­po. Entram­be que­ste atti­vi­tà si sud­di­vi­do­no in due sot­to­spe­cie, a secon­da che svol­ga­no una fun­zio­ne cura­ti­va oppu­re pre­ven­ti­va. Per il cor­po que­ste due atti­vi­tà sono la medi­ci­na (fun­zio­ne cura­ti­va) e la gin­na­sti­ca (fun­zio­ne pre­ven­ti­va), seb­be­ne non vi sia un nome uni­co che le rag­grup­pi entram­be; men­tre tale nome esi­ste per l’anima, ed è quel­lo di “poli­ti­ca”, la qua­le si sud­di­vi­de in giu­sti­zia (fun­zio­ne cura­ti­va) e legi­sla­zio­ne (fun­zio­ne pre­ven­ti­va). È pos­si­bi­le così pro­dur­re una pro­por­zio­ne tra que­ste quat­tro arti (tech­nai): la giu­sti­zia sta alla medi­ci­na come la legi­sla­zio­ne sta alla gin­na­sti­ca. 

Quan­do sia­mo mala­ti, ci dice Pla­to­ne, se desi­de­ria­mo gua­ri­re ci sot­to­met­tia­mo al giu­di­zio del medi­co che, attra­ver­so le sue pra­ti­che, che pos­so­no tal­vol­ta esse­re dolo­ro­se, ci per­met­te di gua­ri­re; ma, essen­do la giu­sti­zia ana­lo­ga, per quan­to con­cer­ne l’anima, alla medi­ci­na, la stes­sa cosa deve vale­re per essa: il casti­go, una sor­ta di bistu­ri dell’anima, non ha né una fun­zio­ne ven­di­ca­ti­va né stret­ta­men­te puni­ti­va, ma ha come obiet­ti­vo quel­lo di cura­re l’anima “mala­ta” del reo, affet­ta dal mor­bo dell’ingiustizia. 

A que­sto pro­po­si­to, per pon­de­ra­re la por­ta­ta epo­ca­le di que­sta nuo­va con­fi­gu­ra­zio­ne mora­le data da Pla­to­ne al con­cet­to di puni­zio­ne è uti­le leg­ge­re le paro­le di E. R. Dodds: 

Plato’s impli­cit rea­so­ning seems to be: punish­ment is a neces­sa­ry insti­tu­tion in all socie­ties; but it can be justi­fied moral­ly only if it is reme­dial: the­re­fo­re it must always be reme­dial […] Plato’s medi­cal approach to the pro­blem of delin­quen­cy repre­sen­ts an immen­se moral advan­ce both on the pri­mi­ti­ve lex talio­nis and on the irra­tio­nal con­cep­tion of guilt as an infec­tious pol­lu­tion wich so dee­ply influen­ced ear­ly Greek law.

[Pla­to, Gor­gias, Revi­sed Text, Intro­duc­tion and Com­men­ta­ry Dodds 1959,254]

È da nota­re che que­sta nuo­va con­fi­gu­ra­zio­ne del­la giu­sti­zia e del­la pena non  si sot­trae anco­ra del tut­to alla pos­si­bi­li­tà del­la ven­det­ta. Socra­te avan­za infat­ti, nel Gor­gia stes­so, il caso para­dos­sa­le in cui si voglia nuo­ce­re al pro­prio nemi­co: 

Qua­lo­ra, dico, il nemi­co com­met­ta ingiu­sti­zia con­tro un altro, occor­re prov­ve­de­re in ogni modo, [481a] con azio­ni e paro­le, affin­ché que­sti non scon­ti la giu­sta pena né si rechi dal giu­di­ce.

[Pla­to­ne, Gor­gia, 480e8-481 a3, a cura di Taglia, note e trad. di Petruc­ci 2014]

Ora, seb­be­ne il Socra­te del Gor­gia for­mu­li que­sta even­tua­li­tà a tito­lo pura­men­te para­dos­sa­le, pro­ba­bil­men­te non sen­za il desi­de­rio di pro­vo­ca­re i pro­pri inter­lo­cu­to­ri, Pla­to­ne dovrà effet­ti­va­men­te risol­ve­re que­sto poten­zia­le pro­ble­ma. L’esegeta vete­ro­te­sta­men­ta­rio Filo­ne di Ales­san­dria, infat­ti, vis­su­to a caval­lo fra il I sec. a. C. e il I sec. d. C., sfrut­te­rà pro­prio que­sta con­ce­zio­ne del­la puni­zio­ne ela­bo­ra­ta da Pla­to­ne nel Gor­gia per inter­pre­ta­re i pas­sag­gi bibli­ci ine­ren­ti a Cai­no: 

[146] Sup­pli­chia­mo Dio, […] di punir­ci piut­to­sto che tra­scu­rar­ci. Se ci tra­scu­ra, infat­ti, ci ren­de­rà schia­vi non più di Lui stes­so, che è bene­vo­lo, ben­sì del­la crea­zio­ne che è sen­za pie­tà; se ci puni­sce, inve­ce, con­ve­nien­te­men­te e con mitez­za, poi­ché Egli è buo­no, cor­reg­ge­rà i nostri erro­ri, invian­do nel nostro ani­mo il suo Logos, che rim­pro­ve­ra e cor­reg­ge, e per mez­zo suo lo fa ver­go­gna­re, lo rim­pro­ve­ra dei suoi erro­ri e lo gua­ri­sce.  

[Filo­ne, Il mal­va­gio ten­de a sopraf­fa­re il buo­no, in Filo­ne, Tut­ti i trat­ta­ti del Com­men­ta­rio alle­go­ri­co alla Bib­bia, a cura di Radi­ce 1994, 316]

Filo­ne però appli­ca que­sta con­ce­zio­ne pla­to­ni­ca del­la pena all’episodio bibli­co di Cai­no. Que­sti è il pri­mo fra­tri­ci­da del­la sto­ria ma, inve­ce di esse­re puni­to da Dio, è con­dan­na­to all’abbandono: nes­su­no può toc­ca­re Cai­no, cioè nes­su­no può punir­lo, per­ché il suo atto è tal­men­te gra­ve che meri­ta ven­det­ta, e que­sta non è altro che l’impunità: 

Per­ciò mi sem­bra che colo­ro che non si tro­va­no nell’impossibilità tota­le di puri­fi­car­si deb­ba­no pre­ga­re di esse­re puni­ti piut­to­sto che esse­re scac­cia­ti: la cac­cia­ta, infat­ti, li scon­vol­ge­rà mol­to facil­men­te, come imbar­ca­zio­ni sen­za zavor­ra e sen­za pilo­ta, men­tre la puni­zio­ne li rad­driz­ze­reb­be. 

[Filo­ne, Il mal­va­gio ten­de a sopraf­fa­re il buo­no, in Filo­ne, Tut­ti i trat­ta­ti del Com­men­ta­rio alle­go­ri­co alla Bib­bia, a cura di Radi­ce 1994, 316]

Il Dio ebrai­co, dun­que, in una cer­ta misu­ra resta ven­di­ca­ti­vo con Cai­no: nemi­co dell’umanità, il modo miglio­re per ren­der­gli il male che ha com­mes­so è pri­var­lo del­la puni­zio­ne meri­ta­ta. 

E se le paro­le di Socra­te nel Gor­gia anda­va­no in que­sto sen­so, l’obiettivo di Pla­to­ne non è affat­to resta­re all’interno di una men­ta­li­tà ven­di­ca­ti­va, pur inver­ten­do­ne i para­dig­mi; è per que­sta ragio­ne che nel­la Repub­bli­ca leg­gia­mo: 

Se dun­que uno vie­ne a dire che è giu­sto rida­re [apo­di­dò­nai] a cia­scu­no quel­lo che gli è dovu­to, e ciò per lui signi­fi­ca pre­ci­sa­men­te che l’uomo giu­sto deve dan­no ai nemi­ci e uti­li­tà agli ami­ci, non si rive­la sapien­te a par­la­re così, ché non è vero quel­lo che dice: a noi anzi è risul­ta­to che non è giu­sto dan­neg­gia­re alcu­no, in nes­sun caso. 

[Pla­to­ne, Repub­bli­ca, 335e, tra­du­zio­ne Sar­to­ri, intro­du­zio­ne Veget­ti e note Cen­tro­ne]  

Come ho pro­va­to a mostra­re, dun­que, il con­cet­to di ven­det­ta ha, nel cor­so di que­sti quat­tro seco­li pre­si in con­si­de­ra­zio­ne, una sto­ria mol­to tra­va­glia­ta: cen­tra­le nel pen­sie­ro arcai­co, esso vie­ne sem­pre più dele­git­ti­ma­to dal razio­na­li­smo del­la Gre­cia clas­si­ca. Que­sta sto­ria mi sem­bra aver mostra­to come esso non pos­sa esse­re inter­pre­ta­to uni­ca­men­te come un sen­ti­men­to, ma pos­sa inve­ce costi­tui­re — e, di fat­to, ha costi­tui­to — una deter­mi­na­zio­ne pos­si­bi­le del con­cet­to stes­so di giu­sti­zia. 

Mi augu­ro che que­sto arti­co­lo non fini­sca in sé stes­so, ma invi­ti i let­to­ri ad inter­ro­ga­re que­sto rap­por­to tra giu­sti­zia e ven­det­ta rela­ti­va­men­te ad altre cul­tu­re ed epo­che sto­ri­che rispet­to a quel­la da me qui stu­dia­ta. 

BIBLIO­GRA­FIA

NOTA: Le tra­du­zio­ni di Esio­do, Anas­si­man­dro ed Eschi­lo sono trat­te da Bonaz­zi (2017).

Bonaz­zi, M. (2017), Ate­ne. La cit­tà inquie­ta, Einau­di, Tori­no.

Cia­ni, M. G. (2016), in  Ome­ro, Ilia­de, Mar­si­lio, Vene­zia.

Del Cor­no, D. (1995), Let­te­ra­tu­ra gre­ca. Dall’età arcai­ca alla let­te­ra­tu­ra dell’età 

impe­ria­le, Prin­ci­pa­to, Mila­no.

Dodds, E. R. (1951), The Greeks and the irra­tio­nal, Uni­ver­si­ty of Cali­for­nia Press, 

Ber­ke­ley-Los Ange­les. 

Dodds, E. R. (1959), in Pla­to, Gor­gias, Revi­sed Text, Intro­duc­tion and Com­men­ta­ry by E. 

  1. Dodds, Oxford Uni­ver­si­ty Press, Oxford.

Ugo­li­ni, G. (2018), Lexis. Les­si­co del­la lin­gua gre­ca per radi­ci e fami­glie di paro­le, Pàtron 

Edi­to­re, Bolo­gna.

FON­TI

Filo­ne, Tut­ti i trat­ta­ti del Com­men­ta­rio alle­go­ri­co alla Bib­bia, cura di R. Radi­ce, Rusco­ni, 

Mila­no, 1994.

Pla­to­ne, Cri­to­ne, in Pla­to­ne, Euti­fro­ne, Apo­lo­gia di Socra­te, Cri­to­ne, cure di B. Cen­tro­ne e A. 

Taglia, Einau­di, Tori­no, 2010.

Pla­to­ne, Gor­gia, a cura di A. Taglia, note e trad. di F. M. Petruc­ci, Einau­di, Tori­no, 2014.

Pla­to­ne, Repub­bli­ca, tra­du­zio­ne F. Sar­to­ri, intro­du­zio­ne M. Veget­ti e note B. Cen­tro­ne, 

Later­za, Roma-Bari, 1997.

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