18

Aprile
18 Aprile 2024

I GIGAN­TI DIGI­TA­LI

0 CommentI
95 visualizzazioni
17 min

Qual­cu­no li chia­ma GAFAM: Goo­gle, Apple, Face­book, Ama­zon e Micro­soft. Sono i gigan­ti digi­ta­li che domi­na­no l’economia e han­no una gran­de pre­sen­za nel­la nostra vita di tut­ti i gior­ni. È cor­ret­to chia­mar­li gigan­ti? Uti­liz­zan­do il metro del­la capi­ta­liz­za­zio­ne di mer­ca­to, ovve­ro di quan­to val­go­no le loro azio­ni pre­se tut­te assie­me, i cin­que GAFAM si tro­va­no tut­ti nei pri­mi set­te posti del­la clas­si­fi­ca del­le socie­tà quo­ta­te in bor­sa più gran­di del mon­do.

“The 100 lar­ge­st com­pa­nies in the world by mar­ket capi­ta­li­za­tion in 2023 (in bil­lion U.S. dol­lars)”

Cosa signi­fi­ca esse­re la socie­tà più gran­de del mon­do? Men­tre scri­vo que­sta nota, la capi­ta­liz­za­zio­ne di mer­ca­to del­le pri­me due, Micro­soft e Apple, è sali­ta a cir­ca tre­mi­la miliar­di di dol­la­ri per cia­scu­na. La cifra è mol­to mag­gio­re del pro­dot­to inter­no lor­do dell’Italia, che nel 2022 supe­ra­va di poco i due­mi­la miliar­di. Dico così, per ave­re una pie­tra di para­go­ne, con­sa­pe­vo­le che il con­fron­to cor­ret­to andreb­be fat­to non con il valo­re di bor­sa ma con il fat­tu­ra­to annua­le. Ma qual­che ana­lo­gia dob­bia­mo pur tro­var­la, per­ché i gigan­ti digi­ta­li sono così gran­di che sfug­go­no alla nostra com­pren­sio­ne. Fac­cia­mo un altro esem­pio. Se aves­si un’ora per ogni dol­la­ro inve­sti­to nel­le azio­ni del­la Micro­soft e le usas­si per anda­re indie­tro nel tem­po, arri­ve­rei a 114 milio­ni di anni fa ovve­ro al Cre­ta­ci­co infe­rio­re, quan­do com­pa­ri­va­no sul­la ter­ra le api e i pri­mi mam­mi­fe­ri ante­na­ti dell’ornitorinco odier­no.

È opi­nio­ne comu­ne che il gigan­ti­smo digi­ta­le sia un pro­ble­ma di dif­fi­ci­le solu­zio­ne per le auto­ri­tà pub­bli­che che cer­ca­no di gover­nar­lo a tute­la e bene­fi­cio di tut­ti noi. Ma cre­do che esi­sta un pro­ble­ma paral­le­lo altret­tan­to urgen­te; che la dismi­su­ra di que­ste impre­se sia anche una sfi­da per l’immaginazione. Cre­do che non sia­mo anco­ra in gra­do di com­pren­de­re il pote­re e l’influenza dei GAFAM e del­la man­cia­ta di altre impre­se che con il pas­sa­re degli anni han­no assun­to dimen­sio­ni qua­si altret­tan­to smi­su­ra­te. Non saprei come rispon­de­re se mi chie­des­se­ro cosa abbia­mo dav­ve­ro in men­te quan­do le chia­mia­mo ‘gigan­ti’. Pen­sia­mo al Gran­de Gigan­te Gen­ti­le di Roald Dahl oppu­re ai ciclo­pi, abi­li inven­to­ri e costrut­to­ri del­le mura di Mice­ne ma anche esse­ri roz­zi e man­gia­to­ri di uomi­ni?

L’im­ma­gi­na­zio­ne non vacil­la sola­men­te di fron­te al gigan­ti­smo. Quan­do la tec­no­lo­gia digi­ta­le ci è arri­va­ta in casa, nei pri­mi anni ottan­ta, ave­va già i trat­ti del miste­ro e del pro­di­gio. Pri­mo Levi com­pre­se la sfi­da che il suo com­pu­ter appe­na acqui­sta­to gli lan­cia­va nel 1984, quan­do ne scris­se sul­la ter­za pagi­na de La Stam­pa. A quan­to ne sap­pia­mo, il com­pu­ter in que­stio­ne era pro­ba­bil­men­te un Macin­tosh, il pri­mo per­so­nal del­la Apple di lar­ga dif­fu­sio­ne. Levi con­fes­sa di accet­ta­re in par­te il miste­ro del suo nuo­vo ela­bo­ra­to­re, rinun­cian­do a capi­re come fun­zio­na pri­ma di poter met­te­re le dita sul­la tastie­ra, e uti­liz­za per descri­ver­lo espres­sio­ni che si asso­cia­no al sopran­na­tu­ra­le. Il suo ela­bo­ra­to­re, dice, è «capa­ce di mol­ti mira­co­li che anco­ra non cono­sco e che mi intri­ga­no».

Imma­gi­ne ed ela­bo­ra­zio­ne dell’autore, trat­ta dal­la coper­ti­na di Pri­mo Levi, Con­ver­sa­zio­ni e inter­vi­ste, Einau­di, 1997

L’a­na­lo­gia magi­ca più evi­den­te riguar­da il leg­gen­da­rio Golem. Levi nota che l’e­la­bo­ra­to­re ha «la boc­ca stor­ta, soc­chiu­sa in una smor­fia mec­ca­ni­ca» e che resta «una esa­ni­me sca­to­la metal­li­ca» fin­ché in quel­la boc­ca non si inse­ri­sce un dischet­to. Si chie­de a que­sto pun­to se i suoi crea­to­ri si fos­se­ro ispi­ra­ti al Golem. «Si nar­ra che seco­li addie­tro un rab­bi­no-mago aves­se costrui­to un auto­ma di argil­la, di for­za ercu­lea e di obbe­dien­za cie­ca, affin­ché difen­des­se gli ebrei di Pra­ga dai pogrom; ma esso rima­ne­va iner­te, ina­ni­ma­to, fin­chè il suo auto­re non gli infi­la­va in boc­ca un roto­lo di per­ga­me­na su cui era scrit­to un ver­set­to del­la Torà» (tut­te le cita­zio­ni sono trat­te da “Per­so­nal Golem”, La Stam­pa, 15 novem­bre 1984, p. 3). Come si vede, da qua­ran­t’an­ni dob­bia­mo ricor­re­re a figu­re fan­ta­sti­che frut­to del­l’im­ma­gi­na­zio­ne, come i gigan­ti e il Golem, per veni­re a pat­ti con una tec­no­lo­gia e uno svi­lup­po indu­stria­le ai qua­li ci avvi­ci­nia­mo «pien[i] di ango­scia: l’an­go­scia del­l’i­gno­to» (ibid.).

L’ul­ti­mo svi­lup­po in ordi­ne di tem­po, poi, ci appa­re come un’au­ten­ti­ca dia­vo­le­ria. A novem­bre del 2022 è com­par­so in rete il pri­mo siste­ma gene­ra­ti­vo, basa­to su un cosid­det­to Lar­ge Lan­gua­ge Model (LLM), che tut­ti pos­sia­mo uti­liz­za­re sen­za paga­re espli­ci­ta­men­te il bigliet­to. Per capi­re l’aspetto sopran­na­tu­ra­le che si avver­te in que­sta inno­va­zio­ne basta leg­ge­re gli innu­me­re­vo­li com­men­ti sul­la stam­pa o ascol­ta­re cosa ne dice la gen­te. Il Golem in fon­do era un bru­to capa­ce solo di dar bot­te, alme­no nel­le inten­zio­ni del suo arte­fi­ce. Sba­ra­glia­va i nemi­ci degli ebrei di Pra­ga come fareb­be una fie­ra ammae­stra­ta, che so, una fero­cis­si­ma tigre. L’in­tel­li­gen­za arti­fi­cia­le gene­ra­ti­va, inve­ce, ci bat­te sul ter­re­no del­la cono­scen­za.

E qui mi tro­vo costret­to a chie­de­re aiu­to io stes­so a un per­so­nag­gio del­la let­te­ra­tu­ra per veni­re a capo dell’intelligenza arti­fi­cia­le gene­ra­ti­va. Come Pinoc­chio, a cui Gep­pet­to inse­gna come si sta al mon­do pri­ma di far­lo usci­re di casa, que­sti siste­mi devo­no esse­re adde­stra­ti pri­ma di entra­re in fun­zio­ne. Li han­no chia­ma­ti ‘pap­pa­gal­li sto­ca­sti­ci’ (clic­ca­re qui per leg­ge­re l’articolo che ha conia­to l’espressione), ma quan­do li usia­mo ci dan­no l’im­pres­sio­ne di esse­re tutt’altro che pap­pa­gal­li, ben­sì siste­mi auto­no­mi, capa­ci di tro­va­re da soli la stra­da per impa­ra­re cose nuo­ve e rispon­de­re in modo ori­gi­na­le alle doman­de che gli rivol­gia­mo. Que­sto è ciò che sa fare OS One, il siste­ma ope­ra­ti­vo imma­gi­na­to nel film Her, in cui il pro­ta­go­ni­sta si inna­mo­ra del­la voce che tro­va nel tele­fo­ni­no dopo aver­lo instal­la­to, con­vin­to che sia come una don­na in car­ne ed ossa.


Locan­di­na di Her

Que­ste facol­tà dei siste­mi gene­ra­ti­vi – vere, fal­se, pre­sun­te, temu­te o mil­lan­ta­te – odo­ra­no tut­te di zol­fo. Cer­to, anche Pinoc­chio si met­te a par­la­re per magia quan­do è anco­ra un tron­co da sboz­za­re, ma da quel momen­to in poi si com­por­ta come un pic­co­lo sban­da­to che però desi­de­ra diven­ta­re un bam­bi­no come tut­ti gli altri. Inve­ce il miste­ro dei siste­mi gene­ra­ti­vi che for­se ci pre­oc­cu­pa di più è pro­prio il loro desti­no ulti­mo. Non sap­pia­mo cosa impa­re­ran­no a fare man mano che diven­ta­no sem­pre più poten­ti e per­fe­zio­na­ti. Per esem­pio, i siste­mi gene­ra­ti­vi di oggi non sono capa­ci di coglie­re il noc­cio­lo di un testo o di una con­ver­sa­zio­ne – ciò che i lin­gui­sti chia­ma­no ‘per­ti­nen­za’ – e io cre­do che attual­men­te que­sto sia il loro limi­te più serio. Non so dire se que­sta facol­tà potrà emer­ge­re un gior­no con il cre­sce­re del­la com­ples­si­tà. Sareb­be curio­so che emer­ges­se dav­ve­ro, per­ché pare che il gene­re uma­no abbia segui­to un per­cor­so simi­le. Gli stu­dio­si dibat­to­no da tem­po l’ipotesi che l’intelligenza uma­na non sia altro che un com­por­ta­men­to emer­so nel cor­so dell’evoluzione gra­zie alla cre­scen­te com­ples­si­tà del­la men­te. Men­tre aspet­tia­mo di vede­re cosa farà l’in­tel­li­gen­za arti­fi­cia­le del futu­ro, è leci­to chie­der­si fin d’o­ra che cosa ci farà, per­ché se per disgra­zia le cose si met­to­no male non sia­mo sicu­ri di poter­la fer­ma­re. Non abbia­mo più il roto­lo di per­ga­me­na che, sfi­la­to dal­la boc­ca, spe­gne­va il Golem del­la leg­gen­da.

L’an­go­scia del­l’i­gno­to di cui scri­ve­va Pri­mo Levi si pro­iet­ta quin­di nel futu­ro, ma nep­pu­re il pre­sen­te ci lascia del tut­to tran­quil­li. Ripren­do coc­ciu­ta­men­te il para­me­tro già uti­liz­za­to sopra del­la capi­ta­liz­za­zio­ne di mer­ca­to. Da otto­bre 2022 alla metà di mar­zo del 2024, il valo­re di cen­to prin­ci­pa­li impre­se atti­ve nei mer­ca­ti in cui si sud­di­vi­de il set­to­re dell’intelligenza arti­fi­cia­le è cre­sciu­to di otto­mi­la miliar­di di dol­la­ri. Par­lia­mo di quat­tro vol­te il PIL ita­lia­no, e tor­na una pas­seg­ge­ra ver­ti­gi­ne da gigan­ti­smo. Occor­re pre­ci­sa­re che non tut­to l’aumento è impu­ta­bi­le diret­ta­men­te all’e­splo­sio­ne del­la nuo­va tec­no­lo­gia, per­ché le bor­se han­no regi­stra­to un rial­zo gene­ra­le in que­sto las­so di tem­po, ma la sua enti­tà è comun­que rag­guar­de­vo­le. Un secon­do feno­me­no da osser­va­re con atten­zio­ne è che il valo­re com­ples­si­vo del set­to­re si sta con­cen­tran­do sem­pre di più nel­le mani di poche impre­se. Da anni si osser­va che l’economia digi­ta­le ten­de alla con­cen­tra­zio­ne in misu­ra mag­gio­re rispet­to all’e­co­no­mia nel suo com­ples­so e que­sto per una serie di moti­vi strut­tu­ra­li. Ebbe­ne, l’andamento qui sem­bra anco­ra più accen­tua­to e cre­sco­no in modo esa­spe­ra­to le disu­gua­glian­ze fra le impre­se del set­to­re. Chi potrà mai rag­giun­ge­re e sfi­da­re quel­le che si tro­va­no in vet­ta se la mon­ta­gna diven­ta sem­pre più alta? Per fini­re, c’è la que­stio­ne del rap­por­to fra que­ste tec­no­lo­gie e il lavo­ro. Mol­ti temo­no che l’in­tel­li­gen­za arti­fi­cia­le sia una  minac­cia per l’oc­cu­pa­zio­ne (riman­do a que­sto appro­fon­di­men­to del set­ti­ma­na­le The Eco­no­mi­st per tut­te que­ste con­si­de­ra­zio­ni). Non so se il timo­re sia fon­da­to, pro­ba­bil­men­te non lo è, ma ciò che con­ta per il nostro ragio­na­men­to è che sia pre­sen­te in lar­ghe fasce del­la pub­bli­ca opi­nio­ne.


Clau­de Monet, Cha­ring Cross Brid­ge, brouil­lard sur la Tami­se

La neb­bia nel­la qua­le è immer­sa l’economia digi­ta­le e le inquie­tu­di­ni che susci­ta la nostra inca­pa­ci­tà di osser­var­ne con pre­ci­sio­ne i con­tor­ni deri­va­no da mol­ti altri fat­to­ri oltre a quel­li toc­ca­ti fino­ra. C’è la mani­po­la­zio­ne di mas­sa del­la pub­bli­ca opi­nio­ne, c’è il rischio di fram­men­ta­zio­ne del tes­su­to socia­le, ci sono le bufa­le che distor­co­no la for­ma­zio­ne del con­sen­so e lo stes­so pro­ces­so demo­cra­ti­co. Tut­ti que­sti temi ven­go­no discus­si quo­ti­dia­na­men­te sugli orga­ni di stam­pa di qua­li­tà. Per con­clu­de­re que­sta nota, vor­rei aggiun­ge­re un fat­to­re, direi, più sot­ti­le. Il miste­ro e l’inquietudine che cir­con­da­no il mon­do digi­ta­le deri­va­no anche dal fat­to che è per sua natu­ra un mon­do imma­te­ria­le.

Ho già scrit­to di que­sto fat­to qui su Ātman, nel­la secon­da pun­ta­ta del­la serie Com­pa­gna dell’impero inti­to­la­ta “Bot­te­ghe oscu­re”. Pos­sia­mo rileg­ger­ne un bra­no: «In que­sti 25 anni sono nate e han­no con­qui­sta­to quo­te smi­su­ra­te di mer­ca­to impre­se come Face­book, Tik­Tok e Twit­ter che han­no una natu­ra pura­men­te semio­ti­ca. [Bot­te­ghe oscu­re] fino­ra ha par­la­to [di] impre­se che fan­no polen­ta, bor­se in pel­le, ‘spri­tz’, den­ti­fri­ci e pan­no­lo­ni per anzia­ni. I social media inve­ce si occu­pa­no solo di segni. Sono impre­se che acqui­si­sco­no, tra­sfor­ma­no, imma­gaz­zi­na­no e distri­bui­sco­no paro­le, imma­gi­ni, mes­sag­gi audio, video e poco altro.»

Allo­ra par­la­vo dei social media e dei loro algo­rit­mi che sono sta­ti pro­get­ta­ti fin dall’inizio per iniet­ta­re costan­te­men­te pic­co­le dosi di dopa­mi­na nel cor­po di miliar­di di per­so­ne e gene­ra­re dipen­den­za. Ma l’osservazione si può esten­de­re a tut­ti i GAFAM e agli altri gigan­ti digi­ta­li. Non cre­do che sia mai suc­ces­so nel­la nostra sto­ria che l’economia e la socie­tà fos­se­ro domi­na­te in misu­ra così impor­tan­te da impre­se le cui atti­vi­tà non si con­cen­tra­no su ciò che vie­ne dal­la ter­ra, né sul­la pro­du­zio­ne di beni mate­ria­li e nem­me­no sui ser­vi­zi tra­di­zio­na­li come ban­che, scuo­le e ospe­da­li. Le atti­vi­tà del­le impre­se digi­ta­li han­no a che fare qua­si com­ple­ta­men­te con le paro­le e gli altri segni, che sono enti­tà imma­te­ria­li.


Uno scor­cio di Decen­tra­land

L’economia dei mon­di vir­tua­li, dei meta­ver­si e del gaming è for­se l’esempio più chia­ro del gra­do di incon­si­sten­za del mon­do digi­ta­le. Usan­do le crip­to­va­lu­te più dif­fu­se o quel­le crea­te dal­le stes­se piat­ta­for­me si può rega­la­re un paio di orec­chi­ni all’avatar sedu­ta sul­la pan­chi­na di un par­co, oppu­re si può acqui­sta­re un lot­to di ter­re­no che dà sul­lo stes­so par­co maga­ri per tirar­ci su un fab­bri­ca­to da offri­re sul mer­ca­to sem­pre all’interno del mon­do vir­tua­le. Le pos­si­bi­li­tà sono infi­ni­te e non occor­re mol­ti­pli­ca­re gli esem­pi. Ciò che mi inte­res­sa mostra­re sono le sca­to­le cine­si nel­le qua­li a) un tra­sfe­ri­men­to elet­tro­ni­co che fai dal­la tua ban­ca onli­ne acqui­sta b) una crip­to­va­lu­ta anco­ra più imma­te­ria­le che in segui­to spen­di, ponia­mo, su Decen­tra­land per acqui­sta­re c) un lot­to di ter­re­no digi­ta­le che offri d) nel­la sezio­ne land del mar­ke­pla­ce del­la piat­ta­for­ma. A ogni pas­so diven­ta un ricor­do sem­pre più lon­ta­no il mon­do dove per distra­zio­ne urtia­mo il tavo­lo del­la cuci­na e si ver­sa il vino sul­la tova­glia.

Eppu­re tut­to comin­cia con gli euro per­fet­ta­men­te rea­li che esco­no dal con­to e pro­se­gue con le ore per­fet­ta­men­te rea­li che si pas­sa­no den­tro Decen­tra­land per rega­la­re gli orec­chi­ni e com­pra­re il lot­to sul par­co. Quin­di per­ché arren­der­si all’immaterialità del mon­do digi­ta­le come se il discor­so finis­se lì. For­se abbia­mo biso­gno di un can­noc­chia­le per vede­re meglio, per­ché ho la sen­sa­zio­ne che qual­co­sa anco­ra sfug­ga a que­sta nota rispet­to ai mon­di vir­tua­li, allo stu­pe­fa­cen­te spet­ta­co­lo pro­dot­to dall’intelligenza arti­fi­cia­le gene­ra­ti­va e ai gigan­ti digi­ta­li. Vedia­mo se l’arte del­la paro­la può dar­ci anco­ra una mano. Una gran­de poe­tes­sa ame­ri­ca­na, Marian­ne Moo­re, ha scrit­to che nel­la poe­sia si pos­so­no tro­va­re «giar­di­ni imma­gi­na­ri con den­tro rospi veri» («ima­gi­na­ry gar­dens with real toads in them». “Poe­try”, in Others for 1919; An Antho­lo­gy of the New Ver­se, a cura di Alfred Kreym­borg, N.L. Bro­wn, 1920, pp. 131–132. Tra­du­zio­ne dell’autore). Chis­sà se anche il mon­do digi­ta­le – imma­te­ria­le, neb­bio­so, pap­pa­gal­le­sco, magi­co e smi­su­ra­to – si reg­ge su que­sto para­dos­so. Chis­sà se è anche per que­sto moti­vo che lo tro­via­mo, tut­ti, irre­si­sti­bi­le.

Con­di­vi­di:
TAGS:
I commenti sono chiusi