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Dicembre
11 Dicembre 2025

GENE­SI DI UN ANTI­E­ROE: TRA­VIS BIC­KLE, IL PRI­MO DEGLI WAT­CH­MEN

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Poche ope­re sono riu­sci­te a guar­da­re nell’anima dell’America come ha fat­to Taxi Dri­ver (1976). Con que­sto film Schra­der sce­neg­gia­to­re e Scor­se­se regi­sta sca­va­no nel­le pau­re di una nazio­ne, ne espon­go­no i trau­mi, met­to­no alla ber­li­na le sue con­trad­di­zio­ni. Negli occhi di Tra­vis Bic­kle si spec­chia un’America mol­to più rea­le di quan­to la fin­zio­ne pos­sa nascon­de­re; un film fon­da­ti­vo, per­ché dà il via a una serie di pel­li­co­le che segui­ran­no l’esempio di Taxi Dri­ver e andran­no a sguaz­za­re in quel fan­go venu­to a gal­la pro­prio con la plu­ri­pre­mia­ta ope­ra del mae­stro Scor­se­se. Una di que­ste è Wat­ch­men (2009): una pel­li­co­la   trat­ta dal­l’o­mo­ni­ma gra­phic novel di Alan Moo­re e Dave Gib­bons (1986–1987) che affon­da le sue radi­ci nei mean­dri più tor­bi­di del­la nazio­ne ame­ri­ca­na, ne rico­no­sce l’ipocrisia e, di nuo­vo, la met­te a nudo. Il com­par­to fan­ta­sti­co è rele­ga­to all’elemento supe­re­roi­sti­co; per il resto, quel­lo che si vede è, di nuo­vo, mol­to più vero di quan­to la fin­zio­ne rie­sca a masche­ra­re mai paro­la fu più azzec­ca­ta. Ecco che allo­ra Tra­vis Bic­kle diven­ta, in qual­che modo, il padre puta­ti­vo di que­sti (anti)eroi masche­ra­ti. 

La sto­ria di Taxi Dri­ver è ormai nota: la sce­neg­gia­tu­ra di Paul Schra­der segue il giro­va­ga­re not­tur­no di un gio­va­ne redu­ce del Viet­nam, Tra­vis Bic­kle, che, in vir­tù del­la sua inson­nia, ha tro­va­to un impie­go da tas­si­sta. La soli­tu­di­ne dell’uomo, uni­ta alla sua inco­mu­ni­ca­bi­li­tà con una socie­tà che non com­pren­de, farà cade­re il pro­ta­go­ni­sta in una spi­ra­le di fol­lia che sfo­ce­rà ine­vi­ta­bil­men­te nel­la vio­len­za.

Taxi Dri­ver è un film pri­ma di tut­to sull’alienazione: cen­tra­le è l’incapacità di un redu­ce del Viet­nam di tro­va­re un posto nel­la New York degli anni ’70. La sua men­te è ormai for­te­men­te insta­bi­le, sin­to­mo ulti­mo di una con­di­zio­ne di estre­ma soli­tu­di­ne che, se già era pre­sen­te pri­ma del­la spe­di­zio­ne nel sud-est asia­ti­co, ades­so non può che esse­re estre­miz­za­ta. L’esempio lam­pan­te del­la sua tota­le inet­ti­tu­di­ne rispet­to a una socie­tà che Tra­vis fati­ca a com­pren­de­re è l’uscita con Betsy al cine­ma por­no. Lo spae­sa­men­to socia­le e valo­ria­le del pro­ta­go­ni­sta qui tro­va il suo tri­ste api­ce: tri­ste per­ché lo spet­ta­to­re non può che empa­tiz­za­re, in que­sta pri­ma par­te, con Tra­vis, tifa­re per lui e per la pos­si­bi­li­tà di un suo rein­se­ri­men­to in socie­tà – maga­ri pas­san­do pro­prio dall’innamoramento per una ragaz­za impe­gna­ta in poli­ti­ca. Ma l’appuntamento risul­te­rà grot­te­sco e i ten­ta­ti­vi suc­ces­si­vi di Tra­vis – chia­ma­te, fio­ri, e per­si­no una riap­pa­ri­zio­ne dal vivo – tra­gi­ci.

A Tra­vis non rima­ne che un vaga­bon­dag­gio not­tur­no nel ‘mar­ciu­me’ del­le stra­de di New York illu­mi­na­te dai neon del­le inse­gne dei nego­zi. Un viag­gio per cer­ti ver­si ipno­ti­co, oni­ri­co, fat­to di luci che si accen­do­no e ombre che si muo­vo­no – impos­si­bi­le scor­dar­si la sce­na nel taxi con lo stes­so Mar­tin Scor­se­se: «Io la ucci­do, con una Magnum 44».

È pro­prio per descri­ve­re la New York dei quar­tie­ri più pove­ri – come Har­lem o il Bro­nx –  che emer­go­no quel­li che sono i pochi – ma cen­tra­li – richia­mi al cam­po seman­ti­co del­la reli­gio­ne. Si ricor­di, in tal sen­so, che per Scor­se­se, cat­to­li­co con­vin­to, la tema­ti­ca reli­gio­sa è un ele­men­to così impor­tan­te nel­la sua poe­ti­ca che lo stes­so regi­sta non solo le ha dedi­ca­to diver­se pel­li­co­le – L’Ultima Ten­ta­zio­ne di Cri­sto (1988) e Silen­ce (2016) i due più impor­tan­ti –, ma addi­rit­tu­ra è riu­sci­to a inse­ri­re rifles­sio­ni di que­sto tipo anche in film di gene­re com­ple­ta­men­te diver­so; la luce e l’ombra, il pec­ca­to e la reden­zio­ne, l’angelico e il dia­bo­li­co sono ele­men­ti pro­pri del cine­ma scor­se­sia­no, ben rico­no­sci­bi­li in film come Mean Stree­ts (1973) o The Depar­ted (2006), e mostra­no come per il regi­sta il con­fi­ne tra Bene e Male sia mol­to più sfu­ma­to di quan­to si pos­sa pen­sa­re poi­ché, in fon­do, que­sti non sono valo­ri così asso­lu­ti come pos­so­no all’apparenza sem­bra­re. 

Taxi Dri­ver non fa ecce­zio­ne: in par­ti­co­la­re, l’espressione più impor­tan­te che riman­da a que­sto cam­po seman­ti­co è quel­la per cui «un dilu­vio uni­ver­sa­le pri­ma o poi dovrà ripu­li­re que­ste stra­de». Il con­cet­to di puli­zia del­le stra­de da tos­si­ci e pro­sti­tu­te – che per Tra­vis rap­pre­sen­ta­no il mar­ciu­me del­la socie­tà – è pro­prio il moto­re pri­mo del­la secon­da par­te del film. Davan­ti a una socie­tà che non lo com­pren­de, di fron­te a una poli­ti­ca che non lo rap­pre­sen­ta, Tra­vis capi­sce che dovrà atti­var­si in pri­ma per­so­na per cam­bia­re le cose. Tra­vis Bic­kle diven­ta, in que­sto modo, o alme­no secon­do lui, una sor­ta di mes­sia (o meglio, anti-mes­sia) chia­ma­to a puni­re i pec­ca­to­ri – il dia­bo­li­co Sport e gli altri pap­po­ni – e sal­va­re le ani­me pure – l’angelica Betsy, non a caso vesti­ta qua­si sem­pre di bian­co, o la gio­va­ne e inno­cen­te Iris. La catar­si del per­so­nag­gio arri­ve­rà pro­prio nel momen­to in cui il pro­ta­go­ni­sta deci­de­rà di sacri­fi­car­si per la pic­co­la Iris, pas­san­do per una lun­ga seque­la di dolo­ro­si spar­gi­men­ti di san­gue.

Ma Tra­vis Bic­kle, pro­prio in vir­tù del­le sue azio­ni, ver­rà glo­ri­fi­ca­to, rap­pre­sen­ta­to come un pala­di­no del­la giu­sti­zia in gra­do di sal­va­re la vita di una ragaz­zi­na tre­di­cen­ne: i gior­na­li lo ren­de­ran­no un eroe. Sen­za sape­re, tut­ta­via, che il bagno di san­gue ai dan­ni di Sport e degli altri ade­sca­to­ri è sola­men­te frut­to del caso, la for­tui­ta con­se­guen­za del fal­li­men­to dell’attentato al sena­to­re Palan­ti­ne. 

Il pro­ta­go­ni­sta di Taxi Dri­ver, dun­que, incar­na a pie­no la figu­ra dell’antieroe, cen­tra­le nel­la cul­tu­ra pop del XXI seco­lo: colui che com­pie un atto eroi­co a con­clu­sio­ne del suo per­cor­so nar­ra­ti­vo ma che lo fa in vir­tù di valo­ri com­ple­ta­men­te oppo­sti a quel­li di rife­ri­men­to nel­la socie­tà a lui con­tem­po­ra­nea. In par­ti­co­la­re, per i moti­vi sopra cita­ti, Tra­vis Bic­kle ha una bus­so­la mora­le com­ple­ta­men­te devia­ta: i trau­mi del­la guer­ra e l’odio repres­so per una socie­tà che lo esclu­de lo han­no reso la per­fet­ta rap­pre­sen­ta­zio­ne del­la mina vagan­te ame­ri­ca­na, una del­le tan­te per­so­ne comu­ni desti­na­te a occu­pa­re le pri­me pagi­ne dei gior­na­li ame­ri­ca­ni in vir­tù di un qual­che epi­so­dio vio­len­to – spa­ra­to­rie o, peg­gio, stra­gi – che li coin­vol­ge in pri­ma per­so­na. Eppu­re, non sarà que­sto l’epilogo di que­sta sto­ria: pro­prio per­ché Tra­vis, dopo aver lavo­ra­to sul suo cor­po e dopo aver indos­sa­to la sua masche­ra da giu­sti­zie­re – quel taglio moi­ca­no che ricor­da i com­bat­ten­ti del­la guer­ra in Viet­nam, che si dice si rades­se­ro in quel modo i capel­li per dimo­stra­re di esse­re pron­ti al sacri­fi­cio – otter­rà la glo­ria e il rico­no­sci­men­to di fami­lia­ri e opi­nio­ne pub­bli­ca in vir­tù del­la car­ne­fi­ci­na di cui è egli stes­so arte­fi­ce. Se la figu­ra dell’antieroe è un topos nar­ra­ti­vo già pre­sen­te nel­la cul­tu­ra ame­ri­ca­na, con Taxi Dri­ver nasce quel­la dell’antieroe urba­no, il vigi­lan­te masche­ra­to che vaga per le metro­po­li ame­ri­ca­ne e pro­teg­ge, con meto­di e valo­ri del tut­to discu­ti­bi­li, i cit­ta­di­ni dai cri­mi­na­li che si anni­da­no nei vico­li più bui. 

Ecco che, visto sot­to que­sta luce, Tra­vis assu­me i con­tor­ni di uno Wat­ch­men ante lit­te­ram. Il rife­ri­men­to va a Wat­ch­men di Zach Sny­der, trat­to dall’omonima gra­phic novel di Alan Moo­re e Dave Gib­bons (1986–1987): il film nar­ra di un com­plot­to atto a eli­mi­na­re un grup­po di eroi masche­ra­ti che da anni sono impe­gna­ti a pro­teg­ge­re le prin­ci­pa­li cit­tà ame­ri­ca­ne dal­la sem­pre più dila­gan­te cri­mi­na­li­tà. Ma non è la tra­ma il pun­to del­la que­stio­ne. L’interesse per que­sta pel­li­co­la nasce dal fat­to che gli Wat­ch­men, sal­vo il pecu­lia­re caso del Dot­tor Man­hat­tan, sono tut­te per­so­ne più o meno comu­ni che, al sicu­ro die­tro una masche­ra che ne pro­teg­ge l’anonimato, si ergo­no a pala­di­ne del­la giu­sti­zia; soprat­tut­to, ad esse la col­let­ti­vi­tà affi­da gran par­te dell’amministrazione del­la giu­sti­zia stes­sa. «Sia­mo l’unica dife­sa dei cit­ta­di­ni» dice Il Comi­co al Gufo Not­tur­no; «Da chi li stia­mo pro­teg­gen­do?» rispon­de quest’ultimo; «Da loro stes­si!» con­clu­de il pri­mo, men­tre si accin­ge a spa­ra­re sul­la fol­la iner­me. È una socie­tà che ha per­so fidu­cia nel­le isti­tu­zio­ni; le qua­li, a loro vol­ta, non rie­sco­no a com­pren­der­ne biso­gni e desi­de­ri – evi­den­te in tal sen­so l’incomunicabilità tra due mon­di lon­ta­nis­si­mi che, nel capo­la­vo­ro di Scor­se­se, emer­ge dal dia­lo­go tra il sena­to­re Palan­ti­ne e Tra­vis nel taxi di quest’ultimo. È l’eclissi dei tra­di­zio­na­li sche­mi di giu­sti­zia pub­bli­ca a favo­re dei meto­di, deci­sa­men­te più duri, del­la giu­sti­zia pri­va­ta; giu­sti­zia ammi­ni­stra­ta, per di più, da giu­sti­zie­ri masche­ra­ti com­ple­ta­men­te pri­vi di prin­ci­pi eti­ci. 

Il per­so­nag­gio di Ror­schach, per esem­pio, è più simi­le a Tra­vis di quan­to si pos­sa pen­sa­re. Non tan­to per l’estrazione socia­le, quan­to più per la filo­so­fia che sta die­tro al suo agi­re: se è vero che il suo obiet­ti­vo ulti­mo è la rea­liz­za­zio­ne del bene e la pro­te­zio­ne degli ulti­mi, que­stio­na­bi­le è il suo modo di agi­re avul­so da qual­sia­si coor­di­na­ta mora­le – non si fa pro­ble­mi ad ucci­de­re o muti­la­re uomi­ni e ani­ma­li per rag­giun­ge­re la «veri­tà sen­za com­pro­messi». La stes­sa masche­ra di Ror­schach è un chia­ro esem­pio del­la sua insta­bi­li­tà men­ta­le: il test di Ror­schach è un test psi­co­lo­gi­co che ser­ve ad esa­mi­na­re la per­so­na­li­tà e il fun­zio­na­men­to emo­ti­vo di chi vi è sot­to­po­sto; si com­po­ne di 10 tavo­le con sopra mac­chie di inchio­stro dal signi­fi­ca­to ambi­guo su cui il pazien­te, espri­men­do cosa vede in quel­le stra­ne for­me, pro­iet­ta il pro­prio incon­scio. Ecco che la masche­ra di Ror­schach, com­po­sta da un pan­no bian­co su cui si muo­vo­no le mac­chie d’inchiostro nero di cui sopra, diven­ta indi­ce dell’estremo squi­li­brio emo­ti­vo del per­so­nag­gio; una per­so­na che fin da pic­co­la ha subi­to ves­sa­zio­ni come mostra­no dei (fin trop­po) dida­sca­li­ci fla­sh­back nel momen­to in cui lo stes­so Ror­schach vie­ne sot­to­po­sto al test di cui sopra   e che per que­sto ha intro­iet­ta­to l’odio e la vio­len­za al pun­to da far­li dive­ni­re i pun­ti car­di­na­li del­la pro­pria per­so­na­li­tà. Il vero para­dos­so di Ror­schach e for­se anche di Tra­vis è che solo coper­to dal­la sua masche­ra rive­la la sua vera per­so­na­li­tà; qua­si come se la masche­ra diven­tas­se l’undicesima tavo­la del test, capa­ce di met­ter­lo dav­ve­ro emo­ti­va­men­te a nudo una vol­ta indos­sa­ta. Ma non è que­sta la cosa che più acco­mu­na i due anti­e­roi; anco­ra di più Tra­vis e Ror­schach con­di­vi­do­no l’odio per il dete­rio­ra­men­to dei valo­ri del­la socie­tà in cui sono immer­si, che tro­va­no sem­pre più spor­ca e biso­gno­sa di un dilu­vio divi­no capa­ce di lava­re le coscien­ze. Gli stes­si flus­si di pen­sie­ro di Tra­vis Bic­kle che osser­va e disprez­za una New York in putre­fa­zio­ne ven­go­no ripre­si in sca­la qua­si 1:1 dal mono­lo­go con cui il per­so­nag­gio di Ror­schach vie­ne intro­dot­to: 

«La cit­tà mi teme. Ho visto il suo vero vol­to. Le stra­de sono pro­pag­gi­ni del­le fogne e le fogne sono pie­ne di san­gue. Quan­do, final­men­te, i tom­bi­ni si inta­se­ran­no, tut­ta la fec­cia affo­ghe­rà. Il ler­ciu­me di anni di ses­so e omi­ci­di gli ribol­li­rà fino alla vita. Guar­dan­do in alto, tut­te le put­ta­ne e i poli­ti­ci gri­de­ran­no “Sal­va­ci!”. E io sus­sur­re­rò “No.”. Il mon­do inte­ro si tro­va sull’orlo dell’abisso, in fon­do al qua­le lo atten­de l’inferno. Tan­ti libe­ra­li, intel­let­tua­li e ciar­la­ta­ni mel­li­flui e, d’improvviso, nes­su­no rie­sce più a tro­va­re qual­co­sa da dire. Sot­to di me, quest’orrenda cit­tà gri­da come un mat­ta­to­io pie­no di bam­bi­ni ritar­da­ti, e la not­te tra­su­da for­ni­ca­zio­ne e sen­so di col­pa». 

L’odio per il ‘mar­ciu­me’ del­la cit­tà, per la depra­va­zio­ne, per ciò che è spor­co sia fisi­ca­men­te che moral­men­te; il riman­do alle stra­de, ai tom­bi­ni, alle fogne, a ciò che sta sot­to e che è pron­to ad esplo­de­re. La bra­ma di puli­zia, di ordi­ne; i mez­zi del­la rab­bia e del­la vio­len­za per rag­giun­ge­re l’obiettivo. Il riman­do alla sal­vez­za mes­sia­ni­ca e al cam­po seman­ti­co reli­gio­so. Tra­vis Bic­kle ha cam­mi­na­to affin­ché Ror­schach potes­se cor­re­re.

Tut­ta­via, non è il solo Ror­schach a rap­pre­sen­ta­re la poe­ti­ca scor­se­sia­na in Wat­ch­men. Il Comi­co è un vio­len­to, un alco­liz­za­to, uno spie­ta­to omi­ci­da – ter­ri­bi­le in tal sen­so l’uccisione a san­gue fred­do del­la ragaz­za viet­na­mi­ta che lui stes­so ha mes­so incin­ta. Eppu­re è il Comi­co; per­ché ha com­pre­so l’ipocrisia del­la socie­tà e ha deci­so di asse­con­dar­la, di caval­car­la, di ride­re con lei del­le sue nefan­dez­ze. Ha capi­to la vera ani­ma guer­ra­fon­da­ia dell’America e ha deci­so di abbrac­ciar­la: una land of free­dom che per­met­te a chi non ha scru­po­li di abu­sa­re di que­sta liber­tà e usar­la per pre­va­ri­ca­re sugli altri. La gran­de bar­zel­let­ta del­la liber­tà ame­ri­ca­na. Non a caso il Comi­co è l’eroe ame­ri­ca­no per anto­no­ma­sia cele­bra­to come nessun’altro da tut­ta la popo­la­zio­ne: bel­lo, bian­co, spi­ri­to­so, con il siga­ro in boc­ca e la pisto­la nel­la fon­di­na. È il pro­to­ti­po di ame­ri­ca­no che più di un pre­si­den­te com­pre­so quel­lo attua­le   ha ven­du­to come “vero” duran­te la sua pro­pa­gan­da. E poco impor­ta se si è mac­chia­to dei peg­gio­ri cri­mi­ni pos­si­bi­li: rima­ne comun­que mol­to più ame­ri­ca­no di tan­te altre per­so­ne nere o immi­gra­te che vivo­no in Ame­ri­ca da gene­ra­zio­ni non a caso la tema­ti­ca raz­zia­le è alla base del­la mini­se­rie Wat­ch­men del 2019, sequel idea­le del film in que­stio­ne. «Cosa è suc­ces­so al sogno ame­ri­ca­no? Si è avve­ra­to!» è una del­le sue fra­si più cele­bri; ma, a pen­sar­ci bene, è un’asserzione che potreb­be tran­quil­la­men­te esse­re sta­ta pro­nun­cia­ta dal pro­ta­go­ni­sta di Taxi Dri­ver. Tra­vis for­se non ha rag­giun­to il gra­do di con­sa­pe­vo­lez­za del Comi­co; a dir­la tut­ta, for­se non è nem­me­no così intel­li­gen­te da poter fare ad una tale rifles­sio­ne. Agi­sce d’impulso, segue l’istinto – “il pen­sa­re è per gli stu­pi­di” direb­be qual­cu­no che di vio­len­za se ne inten­de. Eppu­re con il Comi­co con­di­vi­de la tota­le assen­za di scru­po­lo nell’uso del­la for­za; che sia il sena­to­re Palan­ti­ne o il pap­po­ne Sport fa poca dif­fe­ren­za, l’assuefazione alla vio­len­za e alla bru­ta­li­tà dell’agire sono ele­men­ti che ormai ha inte­rio­riz­za­to. 

In con­clu­sio­ne, tra tut­ti i vigi­lan­ti masche­ra­ti, Tra­vis è mol­to più Wat­ch­men che Bat­man; anch’egli vigi­lan­te masche­ra­to, ma dai valo­ri ben più mar­ca­ti – non ucci­de­re i cri­mi­na­li, met­te­re sem­pre l’interesse pub­bli­co al pri­mo posto, sal­va­re quan­ti più civi­li pos­si­bi­le. Tra­vis, al con­tra­rio, pen­sa che ucci­de­re il sena­to­re o i pap­po­ni intor­no a Iris non fac­cia dif­fe­ren­za: in entram­bi i casi il risul­ta­to sareb­be pro­prio quel­la puli­zia del­le stra­de di cui lui si fa por­ta­vo­ce. E allo­ra diven­ta, incon­sa­pe­vol­men­te, il pri­mo degli Wat­ch­men, il pri­mo giu­sti­zie­re masche­ra­to dai valo­ri com­ple­ta­men­te devia­ti le cui gesta fini­ran­no per rega­lar­gli fama e rico­no­sci­men­to socia­le: un vero e pro­prio eroe pro­tet­to­re del popo­lo. Un po’ Ror­schach, per il suo odio osses­si­vo ver­so una socie­tà in necro­si, un po’ Comi­co, per la sua tota­le assen­za di inter­ro­ga­ti­vi mora­li nell’uso del­la vio­len­za.

Rima­ne, in que­sto caso, una doman­da da por­si: posto che Tra­vis è anco­ra a pie­de libe­ro e vaga con il suo taxi per le stra­de di New York, se mai doves­se rica­de­re nel­la spi­ra­le nevro­ti­ca che lo ha por­ta­to all’atto vio­len­to fino­ra descrit­to, chi ci garan­ti­sce che sta­vol­ta a mori­re non sarà una qual­che per­so­na inno­cen­te – come pote­va esser­lo il sena­to­re Palan­ti­ne – anzi­ché un altro mala­vi­to­so come Sport? Det­to diver­sa­men­te: “who wat­ches the Wat­ch­men?”.

Foto­gra­fia di Dario Mia­le

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