Anna Grazia Mignani, Dirigente di Ricerca dell’Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” del CNR, è la sesta protagonista della serie Confini e desiderio, un podcast prodotto da Ātman Journal per la cura tecnica di Adamo Mastrangelo. Nella sua chiacchierata con Ubaldo Stecconi, Anna Grazia ci parla della fatica e della gioia del lavoro degli scienziati e dei ricercatori e riflette sul confine forse più universale per gli esseri umani, quello che passa fra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo ancora.
“O frati,” dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
(Inf. 26, 112–117)
Ci sono circostanze più estreme? Si può avere più coraggio? Ulisse e i suoi compagni credono che il confine sia stato tracciato “acciò che l’uom più oltre non si metta” (Inf. 26, 109), eppure non esitano; non vogliono negarsi l’esperienza nel poco tempo che resta loro da vivere. Le storie di Confini e desiderio girano tutte attorno a questo passaggio. Perché ci sentiamo insoddisfatti e rinchiusi? Che cosa ci spinge oltre il limite? Quale novità o cambiamento ci aspettiamo?
I ‘limiti’ di queste conversazioni possono essere di ogni tipo: i confini della carta geografica fisica e politica, gli spazi fra le lingue e le culture, i conflitti fra le ideologie e le strutture sociali. Insomma, i ‘limiti’ che affrontano i protagonisti di Confini e desiderio corrispondono a ogni differenza o asimmetria che troviamo nella casa dei segni dove tutti abitiamo. E ben vengano questi sbilanciamenti, perché sono proprio essi che ci consentono di accettare la sfida del cambiamento e dare al mondo idee nuove e soluzioni originali ai suoi problemi.
Questo è l’obiettivo di Confini e desiderio. Tutti sanno che i pensieri, le parole e gli altri segni sono in costante mutazione mentre si diffondono – è l’idea di Richard Dawkins quando coniò il termine ‘meme’. Ma se le cose stanno così, allora è interessante osservare il fenomeno da vicino. Chi lo mette in moto? Di cosa parliamo nel dettaglio? Dove si verifica? Quali condizioni lo favoriscono e quali lo ostacolano? Cur, quomodo, quando?
Abbiamo già una risposta abbastanza convincente a una di queste domande. Le idee, le parole e gli altri segni mutano e si sviluppano con più facilità attorno a un confine, inteso, come sopra, in senso molto largo. I confini sono ubertosi, come avrebbe detto Peirce, cioè non sono semplicemente produttivi ma fertili di novità. È sul confine che le persone sono più disposte a barattare la sicurezza di un ragionamento o di un comportamento prudente con ipotesi avventurose, che però possono comunque rivelarsi errate. È lì che si immaginano con più facilità le innovazioni che magari ci cambiano la vita, ma che rischiano di non funzionare. In fondo, è ciò che è successo a Dante. Anche lui si è trovato di fronte a un confine ragguardevole e ha deciso di correre il rischio. Chissà in quanti, incrociandolo per strada, si saranno chiesti se nell’altro mondo ci fosse stato davvero oppure no.
Perciò, inevitabilmente, molti protagonisti di Confini e desiderio saranno passati in senso proprio e metaforico da una stanza all’altra della casa dei segni. Avranno viaggiato. Avranno imparato lingue, arti e mestieri nuovi cambiando la loro condizione economica e sociale – si spera per il meglio. Saranno stati degli innovatori. Da questo punto di vista, la loro storia personale riassume quella della nostra specie, che si può descrivere come un solo, incessante viaggio alla ricerca di condizioni di vita migliori o, come Ulisse e i suoi compagni, semplicemente per andare a vedere. Inevitabilmente, questi racconti bruciano come l’aceto le esigue radici dei discorsi che dipingono chi non ci somiglia come una minaccia e si illudono di arrestare le forze che spingono le persone e le popolazioni a muoversi in giro per il mondo, simili alle forze che determinano le correnti e le maree. Confini e desiderio è ‘pop semiotics’ e non ha intenti polemici, ma la bonifica di queste erbacce è un effetto collaterale, appunto, inevitabile e desiderabile.