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22 Giugno 2023

INTERVISTA A GIORGIO SANTORIELLO DELL’ASSOCIAZIONE COVA CONTRO

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Il caporedattore di Ātman Journal Pietro Menichetti intervista Giorgio Santoriello dell’associazione Cova Contro. Essa nasce nel 2013 come associazione di volontariato per avviare un dibattito sulla stagione petrolifera della Basilicata e sensibilizzare sulla questione energetica a 360 gradi. Nel tempo ha allargato le attività arrivando ad occuparsi anche di reati ambientali, contrasto alle ecomafie e alla corruzione nella pubblica amministrazione. Pietro e Giorgio partendo dalle attività di Cova Contro riflettono in particolare su quanto la società civile sia toccata dalla questione ambientale e su quanto la corruzione sia un fattore anche nell’ambito del cambiamento climatico.

L’estrazione petrolifera in Basilicata ha mosso i primi passi già durante il fascismo con la creazione dell’Agip nel 1926. Successivamente, con Enrico Mattei, è proseguita grazie alla scoperta del metano in Val Basento verso la fine degli anni ‘50 e la messa in produzione dei primi pozzi tra Ferrandina e Pisticci. Dalla fine degli anni ‘90 è iniziata la parentesi, ancora in corso, del petrolio in Val d’Agri in provincia di Potenza. Nei primi anni 2000 con la creazione del centro oli Val d’Agri è proseguito lo sfruttamento dell’area su più larga scala, contestualmente sono arrivati anche i francesi di Total, nella vicina Valle del Sauro. Ad oggi la produzione è di poco sotto ai 100.000 barili al giorno, il petrolio estratto in Basilicata mediante oleodotto va alla raffineria di Taranto e poi via nave raggiunge i mercati, soprattutto esteri.

 

Lei fa parte dell’associazione Cova Contro, dove dal 2013 vi occupate di sensibilizzare sulla questione energetica ma anche di reati ambientali, contrasto alle ecomafie e alla corruzione nella P.A., ci può parlare di cosa consiste nello specifico? Quali risultati siete riusciti ad ottenere in questi anni?

Siamo partiti nel 2013 studiando la tematica petrolifera, mentre dal 2015 abbiamo iniziato a svolgere diverse attività come la tutela delle vittime, consulenze gratuite per gli enti pubblici in ambito ambientale e informazione e divulgazione sui reati ambientali. I risultati sono stati molti, abbiamo contribuito a far nascere una coscienza critica e un’opinione pubblica più informata, i lucani non vedono più il petrolio come vent’anni fa anche grazie al nostro contributo. Abbiamo aiutato tante famiglie ad avere giustizia sia in sede civile che penale, abbiamo fornito dati attendibili per poter dire di no a determinati progetti o evitare di usare determinati prodotti. Abbiamo inoltre sostenuto la libera ricerca, la libera stampa, gli studenti universitari tesisti, tutti quelli che vogliono capire i problemi di questa filiera petrolifera hanno trovato in noi un appoggio. Noi accompagniamo in giro per la Basilicata qualsiasi tipo di persona, dallo studente al ricercatore, dal regista all’artista, spiegando la storia ambientale dei posti, cercando di offrire una piattaforma di conoscenza perché non si sa molto dei danni del petrolio in Basilicata.

 

Avete riscontrato negli anni un qualche tipo di reazione da parte della società civile? pensa che i movimenti ambientalisti, i partiti o qualsiasi genere di iniziativa volta alla sensibilizzazione delle persone verso il problema del cambiamento climatico stiano riuscendo nel loro intento?

Sicuramente l’opinione pubblica è più attenta a questa tematica, però io tendo a separare il cambiamento climatico dall’inquinamento, perché il cambiamento climatico è una forma di inquinamento più difficile da far comprendere, anche perché tanti pensano che esso sia una bufala o comunque un processo naturale. Per esperienza personale credo che per arrivare alla pancia delle persone sia più opportuno dare risposte concrete a livello ambientale ai reati più gravi come la contaminazione delle acque, degli ecosistemi, dell’aria e della catena alimentare. Nonostante l’attenzione sia più alta di prima, la società è anche più piegata alla disinformazione e alla paura, tra pandemia e guerra lo spazio per l’ambiente è diminuito. È difficile credere alla transizione ecologica che viene affidata spesso alle stesse multinazionali che hanno causato la crisi, non c’è un cambiamento di paradigmi sociali ed economici agganciati a quelli ambientali. In politica si, col tempo sono aumentate le collaborazioni con i sindaci, con qualche parlamentare e con qualche consigliere regionale, anche se spesso sono collaborazioni a progetto su singoli problemi.

 

Parlando della questione ambientale in generale, crede che le norme ambientali dell’ordinamento italiano siano sufficienti? Cosa cambierebbe o aggiungerebbe?

Cambierei e aggiungerei molte cose. Ci vorrebbe maggior capacità di sequestro preventivo per chi inquina, con minore facoltà d’uso durante il sequestro. Inoltre maggiori obblighi sulla trasparenza e sanzioni certe per chi non divulga i dati. Processi e termini di pronunciamento più brevi, maggiori mezzi alle procure, magari accogliendo la proposta del magistrato Guariniello di fare un’unica procura nazionale solo per i reati ambientali. Penso che il daspo ambientale fosse una bella idea, quindi non permettere alle aziende che già hanno inquinato di fare nuovi investimenti sul territorio.

 

Con Cova Contro vi occupate anche di corruzione, che molti studi indicano come un problema frequente in Italia, in particolare nella pubblica amministrazione. Confermate questa valutazione sulla base del vostro lavoro? 

In ambito ambientale la corruzione è un problema grosso, anche perché l’ambiente non ha veri difensori, nel senso che sono gli stessi uomini che creano i problemi ma scrivono pure le norme ambientali. Esse vengono scritte da chi ha interesse a impattare sull’ambiente. Il problema è che a monte la legislazione non regola questo conflitto di interessi, non ci sono regole vere per prevenire e contrastare la corruzione. Abbiamo visto in Basilicata che Eni ha contratti di collaborazione con tutti i suoi controllori. Anche il sistema delle royalties è corruttivo, perché questa compensazione di un danno ambientale, che sia acustico o paesaggistico, è diventata una monetizzazione del diritto alla salute. Soldi in cambio di morti di tumore, peggioramento della qualità della vita e tutta una serie di danni correlati. Questo meccanismo è pericolosissimo, soprattutto nelle aree depresse, perché diventa una forma di ricatto estrattivo legalizzato ma non riconosciuto: i soldi vengono dati, però nei tribunali Eni puntualmente si oppone quando c’è un’indagine a suo carico per disastro ambientale e non ammette la propria responsabilità. Sicuramente la corruzione ha tante forme, anche i conflitti di interesse potenziali, per esempio abbiamo visto tanta gente negli enti pubblici che subito dopo essere andati in pensione sono diventati consulenti delle compagnie. Ovviamente abbiamo motivo di credere che questo avvicinamento ci sia stato quando la persona lavorava ancora per la pubblica amministrazione.

 

Per finire, potete stabilire un nesso fra la corruzione e le questioni ambientali? Se sì, come si articola? In che misura la corruzione ha un impatto sulle politiche pubbliche ambientali?

L’impatto della corruzione in ambito ambientale è difficile da misurare, sicuramente c’è ed è importante. È una corruzione culturale che nell’atto pratico si trasforma in altro. Basti pensare che le royalties sia comunali che regionali vengono sistematicamente inglobate nella spesa corrente e nessuno impone una gestione separata, magari vincolata alla sola spesa capitale. Se fosse così si potrebbe già porre un primo freno, ma col fatto che viene destinata alla spesa corrente, accade di tutto, i soldi vengono usati come un bancomat per pagare qualsiasi cosa: dai premi di produzione dei dipendenti, fino alle buche nelle strade. Questo da un lato, dall’altro ci sono stati anche magistrati che sono stati beccati in piena incompatibilità ambientale perché la moglie faceva da avvocato al trafficante di rifiuti dell’indotto petrolifero. Per avere giustizia ci sono voluti 7/8 anni per arrivare a un trasferimento, ma nel frattempo i danni provocati dal magistrato incompatibile chi li paga? La corruzione poi in Basilicata è anche sudditanza, basti vedere come l’Università della Basilicata, senza i soldi delle royalties che ammontano a circa un terzo del bilancio, rischierebbe di chiudere. Ciò porta a una totale assenza di dibattito e di una questione morale, perché per l’Università quei soldi sono eticamente giustificabili. Ma anche la Chiesa, ad oggi le diocesi lucane hanno preso più di dodici milioni di euro di royalties, ci hanno rifatto gli edifici di culto, i concerti di natale e altre iniziative. Nemmeno la Chiesa solleva una questione morale, nessuno lo fa, perché chi da un lato chi da un altro tutti mangiano dal piatto delle royalties.

PRESENTAZIONE AUTORE

Giorgio Santoriello è laureato in lettere all’Unibas, ha diversi master in ambito umanistico e nella progettazione europea. È autore di oltre 700 articoli, dell libro Colonia Basilicata, ha diverse citazioni scientifiche sia in ambito storiografico che in ambito tecnico-ambientale. Nel 2013 fonda Cova Contro che si occupa da allora di citizen science, collaborando con diverse testate giornalistiche come Basilicata24, Il Quotidiano del Sud e il Salvagente.

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